Corriere della Sera - La Lettura
L’a fropessimismo e le guerre dell’acqua
Sui laghi africani, lungo i fiumi, a ridosso delle condotte idriche urbane e delle miniere si consumano disperazioni e tragedie. Sono poveri pescatori, allevatori, migranti ambientali. In lotta tra loro. Come sull’isolotto conteso tra Kenya e Uganda. Cos
Modelli di consumo e sfruttamento economico insostenibili, incremento della popolazione, modifiche degli ecosistemi incidono sulle riserve idriche del pianeta (il 71% della Terra è fatto di acqua, l’1% è potabile) determinando accaparramento finanziario delle risorse, provocando guerriglie, causando migrazioni. Molti fotografi da tempo documentano gli effetti dei cambiamenti climatici e mostrano alcune aree dell’Africa dove l’acqua è un elemento sempre più conteso. Ne abbiamo scelti tre, fra i più significativi di questi ultimi anni.
La resilienza dei Turkana
Il lago Turkana, nel nord-ovest del Kenya, è il quarto lago salato al mondo. Alla foce del fiume Omo, che gli fornisce gran parte dell’acqua, «sconfina» in Etiopia. I cambiamenti climatici che dal 1967 hanno elevato la temperatura di 3 gradi, i lunghi periodi di siccità, le sempre più rare piogge alluvionali e le grandi dighe etiopi lungo il corso dell’Omo stanno ridisegnando l’habitat ecologico e sociale. «Le acque del Turkana — racconta Maurizio Di Pietro in Turkana’s Resilience, finalista del premio Kolga a Tbilisi, Georgia — distribuite nei suoi 7.560 chilometri quadrati abitati da pescatori e allevator i , s i r i d u c o n o i n e s o r a b i l mente . L e popolazioni sono decimate da conflitti aspri per il possesso delle terre vicine alle acque e dagli spostamenti verso i centri urbani e verso Nairobi, dove negli ultimi vent’anni i migranti ambientali sono cresciuti del 74% ingrossando le fila dei disperati».
Gli allevatori che restano difendono il bestiame con le armi: si stima che nel Paese ci siano oltre 500 mila armi da fuoco illegali. «Circa il 15% degli animali — spiega il fotografo torinese — muore ogni anno a causa della siccità: questo mette a rischio la sopravvivenza della popolazione del Turkana, la contea meno sviluppata del Kenya. L’area ospita il 60% del bestiame e il 30% della popolazione del Paese. Nei periodi di siccità i turkana sono costretti a scavare pozzi profondi anche tre metri per raggiungere l’acqua potabile nei letti dei fiumi in secca. Il 90% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà e l’80% non ha mai frequentato una scuola».
Una piccola parte degli allevatori si è riconvertita verso la pesca, il cui ricavato, essiccato, viene venduto nei mercati regionali. L’attività, fondamentale per la sussistenza, è minacciata dalle dighe
etiopi che riducono il livello dell’acqua e la quantità del pescato. «Nella contea del Turkana — aggiunge Di Pietro — sono state scoperte grandi riserve di petrolio; si calcola che il bacino principale contenga oltre 600 milioni di barili. La britannica Tullow Oil, in collaborazione con l’Africa Oil, ha ottenuto una concessione di 48 mila chilometri quadrati da esplorare». Ma le deluse aspettative di occupazione nel settore petrolifero rendono i siti insicuri.
I polmoni di Witbank
Witbank, ribattezzata Emalahleni, a nord-est di Johannesburg, nella provincia sudafricana del Mpumalanga («luogo dove sorge il sole», nelle lingue swazi e zulu) è un centro di smistamento del carbone: 22 miniere e 450 mila abitanti che combattono contro la polvere nera che si posa sui campi, sporca le case e intasa i polmoni. Molti si ammalano.
Il carbone è considerato elemento basilare, rispetto all’oro e al platino, delle a t t i v i t à e s t r a t t i ve del S udafr i ca , c he esporta il 6% delle risorse mondiali. L’estrazione del carbone è legata al rifornimento di acqua e alla produzione di energia elettrica. Ne parla Fausto Podavini in The Black Side of South Africa, anche lui finalista al premio Kolga. «Un lavoro — spiega — che è parte di una ricerca più ampia sviluppata con il Water Grabbing Observatory, impegnato nell’analisi e nello studio delle questioni economiche, sociali e ambientali legate all’acqua e ai mutamenti climatici nel mondo». L’estrazione di carbone sfrutta le risorse idriche della rete urbana di Witbank. «Per la popolazione l’acqua scarseggia — nota Podavini — ed è imbevibile a causa delle falde spesso inquinate dai residui della lavorazione del carbone».
La società Eskom, la utility elettrica nazionale che ha nell’area una centrale da 3.600 megawatt, di fianco a una miniera di litantrace utilizzata per la produzione di energia elettrica, «sfrutta anch’essa l’acqua — continua il fotografo romano — per raffreddare le turbine che generano elettricità venduta al Mozambico e allo eSwatini (il nome assunto nel 2018 dallo Swaziland, ndr). I cittadini di Witbank, invece, sono senza corrente elettrica e l’acqua è razionata. In alcuni sobborghi l’acqua potabile arriva una volta alla settimana ed è depositata in cisterne. Dopo qualche giorno termina ma l’acqua in bottiglia costa più di altre bevande».
Le multinazionali pressano il governo per ottenere concessioni nella contigua regione del Limpopo (dal nome del fiume che la delimita) e aprire nuove miniere di carbone, la cui abbondanza è valutata in milioni di tonnellate. Nonostante la riduzione delle precipitazioni, i problemi i dr i c i s e mbrano non tocca re queste aziende che si accaparrano zone strategiche di approvvigionamento dell’acqua.
La lenta agonia del lago Vittoria
Il lago Vittoria, secondo al mondo per ampiezza, è il più grande dell’Africa, fonte del Nilo Bianco e maggiore bacino di pesca d’acqua dolce del pianeta. Intorno ai 68 mila chilometri quadrati, divisi tra Tanzania, Uganda e Kenya, vivono 40 milioni di persone.
La popolazione cresce a un ritmo del 3% l’anno, uno dei tassi più alti del pianeta, e trae sostegno dal lago. «Eppure — racconta Frédéric Noy nel suo Lake Victo
ria Dying, uno scatto del quale ha vinto il World Press Photo, sezione ambiente — si dice che il gigante dell’Africa orientale stia silenziosamente morendo. Il riscaldamento globale influenza la distribuzione dei pesci, determina il livello del lago e rallenta i venti. La minore ossigenazione dell’acqua costringe i pesci a concentrarsi in superficie in alcune aree delimitate, dove competono anche per il cibo. Il risultato è una pesca facile, meno nutriente e di ridotte quantità, mentre il bracconaggio annienta l’acquacoltura. Il settore della pesca, di vitale importanza, occupa 800 mila persone e ne sfama oltre due milioni. L’esportazione è redditizia. Ma l’ecosistema è devastato». La scarsità di un elemento basilare per il sostentamento aumenta le tensioni. «Migingo — riferisce il reporter francese — è un isolotto conteso tra il Kenya e l’Uganda. Fino al 2001 era una semplice stazione di pesatura degli ugandesi durante le battute di pesca, ora ospita decine di pescatori e prostitute perché situato in un’area di acque profonde e di grande pescosità. Lungo le sponde del Vittoria, la deforestazione illegale libera terreni da coltivare e offre legna da ardere, ma deteriora e compromette il suolo. L’insabbiamento del lago da parte dei fiumi crea canali che drenano prodotti agrochimici intensificando l’incremento del giacinto d’acqua, pianta galleggiante tossica per l’ossigenazione, che facilita lo sviluppo della malaria e ostruisce il passaggio alle barche».
Le città costiere scaricano rifiuti e cloache rendendo imbevibile l’acqua del lago Vittoria. Gli impianti di trattamento idrico non funzionano e lasciano spesso a secco intere aree delle città. «La povertà — afferma Frédéric Noy — aggrava l’alterazione ambientale che a sua volta accresce la povertà. Molti impianti di lavorazione del pesce hanno chiuso e la metà degli occupati è senza lavoro. Le attività, nate per offrire servizi alle imprese, sono scomparse. Epilogo spiacevole per i pescatori: tra Tanzania e Uganda, nel villaggio di Kasensero, il 44% degli uomini e il 74% delle prostitute hanno l’Hiv, rispetto al 7% nazionale».
Avventurarsi di notte nelle acque del Vittoria non è meno pericoloso: circa 5 mila pescatori ogni anno annegano per le tempeste. «A causa dei gas serra — conclude Noy — si prevede che le precipitazioni estreme sul lago, una ogni 15 anni, saranno sempre più frequenti entro la fine del secolo. Si ipotizza che il cambiamento climatico, nel distruggere uno dei principali affluenti del Nilo, prosciugherà il Vittoria nei prossimi 500 anni».