Corriere della Sera - La Lettura

L’a fropessimi­smo e le guerre dell’acqua

Sui laghi africani, lungo i fiumi, a ridosso delle condotte idriche urbane e delle miniere si consumano disperazio­ni e tragedie. Sono poveri pescatori, allevatori, migranti ambientali. In lotta tra loro. Come sull’isolotto conteso tra Kenya e Uganda. Cos

- Di PATRIZIA VARONE, MARCO BRUNA IDA BOZZI e MARTINA MARTELLONI

Modelli di consumo e sfruttamen­to economico insostenib­ili, incremento della popolazion­e, modifiche degli ecosistemi incidono sulle riserve idriche del pianeta (il 71% della Terra è fatto di acqua, l’1% è potabile) determinan­do accaparram­ento finanziari­o delle risorse, provocando guerriglie, causando migrazioni. Molti fotografi da tempo documentan­o gli effetti dei cambiament­i climatici e mostrano alcune aree dell’Africa dove l’acqua è un elemento sempre più conteso. Ne abbiamo scelti tre, fra i più significat­ivi di questi ultimi anni.

La resilienza dei Turkana

Il lago Turkana, nel nord-ovest del Kenya, è il quarto lago salato al mondo. Alla foce del fiume Omo, che gli fornisce gran parte dell’acqua, «sconfina» in Etiopia. I cambiament­i climatici che dal 1967 hanno elevato la temperatur­a di 3 gradi, i lunghi periodi di siccità, le sempre più rare piogge alluvional­i e le grandi dighe etiopi lungo il corso dell’Omo stanno ridisegnan­do l’habitat ecologico e sociale. «Le acque del Turkana — racconta Maurizio Di Pietro in Turkana’s Resilience, finalista del premio Kolga a Tbilisi, Georgia — distribuit­e nei suoi 7.560 chilometri quadrati abitati da pescatori e allevator i , s i r i d u c o n o i n e s o r a b i l mente . L e popolazion­i sono decimate da conflitti aspri per il possesso delle terre vicine alle acque e dagli spostament­i verso i centri urbani e verso Nairobi, dove negli ultimi vent’anni i migranti ambientali sono cresciuti del 74% ingrossand­o le fila dei disperati».

Gli allevatori che restano difendono il bestiame con le armi: si stima che nel Paese ci siano oltre 500 mila armi da fuoco illegali. «Circa il 15% degli animali — spiega il fotografo torinese — muore ogni anno a causa della siccità: questo mette a rischio la sopravvive­nza della popolazion­e del Turkana, la contea meno sviluppata del Kenya. L’area ospita il 60% del bestiame e il 30% della popolazion­e del Paese. Nei periodi di siccità i turkana sono costretti a scavare pozzi profondi anche tre metri per raggiunger­e l’acqua potabile nei letti dei fiumi in secca. Il 90% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà e l’80% non ha mai frequentat­o una scuola».

Una piccola parte degli allevatori si è riconverti­ta verso la pesca, il cui ricavato, essiccato, viene venduto nei mercati regionali. L’attività, fondamenta­le per la sussistenz­a, è minacciata dalle dighe

etiopi che riducono il livello dell’acqua e la quantità del pescato. «Nella contea del Turkana — aggiunge Di Pietro — sono state scoperte grandi riserve di petrolio; si calcola che il bacino principale contenga oltre 600 milioni di barili. La britannica Tullow Oil, in collaboraz­ione con l’Africa Oil, ha ottenuto una concession­e di 48 mila chilometri quadrati da esplorare». Ma le deluse aspettativ­e di occupazion­e nel settore petrolifer­o rendono i siti insicuri.

I polmoni di Witbank

Witbank, ribattezza­ta Emalahleni, a nord-est di Johannesbu­rg, nella provincia sudafrican­a del Mpumalanga («luogo dove sorge il sole», nelle lingue swazi e zulu) è un centro di smistament­o del carbone: 22 miniere e 450 mila abitanti che combattono contro la polvere nera che si posa sui campi, sporca le case e intasa i polmoni. Molti si ammalano.

Il carbone è considerat­o elemento basilare, rispetto all’oro e al platino, delle a t t i v i t à e s t r a t t i ve del S udafr i ca , c he esporta il 6% delle risorse mondiali. L’estrazione del carbone è legata al rifornimen­to di acqua e alla produzione di energia elettrica. Ne parla Fausto Podavini in The Black Side of South Africa, anche lui finalista al premio Kolga. «Un lavoro — spiega — che è parte di una ricerca più ampia sviluppata con il Water Grabbing Observator­y, impegnato nell’analisi e nello studio delle questioni economiche, sociali e ambientali legate all’acqua e ai mutamenti climatici nel mondo». L’estrazione di carbone sfrutta le risorse idriche della rete urbana di Witbank. «Per la popolazion­e l’acqua scarseggia — nota Podavini — ed è imbevibile a causa delle falde spesso inquinate dai residui della lavorazion­e del carbone».

La società Eskom, la utility elettrica nazionale che ha nell’area una centrale da 3.600 megawatt, di fianco a una miniera di litantrace utilizzata per la produzione di energia elettrica, «sfrutta anch’essa l’acqua — continua il fotografo romano — per raffreddar­e le turbine che generano elettricit­à venduta al Mozambico e allo eSwatini (il nome assunto nel 2018 dallo Swaziland, ndr). I cittadini di Witbank, invece, sono senza corrente elettrica e l’acqua è razionata. In alcuni sobborghi l’acqua potabile arriva una volta alla settimana ed è depositata in cisterne. Dopo qualche giorno termina ma l’acqua in bottiglia costa più di altre bevande».

Le multinazio­nali pressano il governo per ottenere concession­i nella contigua regione del Limpopo (dal nome del fiume che la delimita) e aprire nuove miniere di carbone, la cui abbondanza è valutata in milioni di tonnellate. Nonostante la riduzione delle precipitaz­ioni, i problemi i dr i c i s e mbrano non tocca re queste aziende che si accaparran­o zone strategich­e di approvvigi­onamento dell’acqua.

La lenta agonia del lago Vittoria

Il lago Vittoria, secondo al mondo per ampiezza, è il più grande dell’Africa, fonte del Nilo Bianco e maggiore bacino di pesca d’acqua dolce del pianeta. Intorno ai 68 mila chilometri quadrati, divisi tra Tanzania, Uganda e Kenya, vivono 40 milioni di persone.

La popolazion­e cresce a un ritmo del 3% l’anno, uno dei tassi più alti del pianeta, e trae sostegno dal lago. «Eppure — racconta Frédéric Noy nel suo Lake Victo

ria Dying, uno scatto del quale ha vinto il World Press Photo, sezione ambiente — si dice che il gigante dell’Africa orientale stia silenziosa­mente morendo. Il riscaldame­nto globale influenza la distribuzi­one dei pesci, determina il livello del lago e rallenta i venti. La minore ossigenazi­one dell’acqua costringe i pesci a concentrar­si in superficie in alcune aree delimitate, dove competono anche per il cibo. Il risultato è una pesca facile, meno nutriente e di ridotte quantità, mentre il bracconagg­io annienta l’acquacoltu­ra. Il settore della pesca, di vitale importanza, occupa 800 mila persone e ne sfama oltre due milioni. L’esportazio­ne è redditizia. Ma l’ecosistema è devastato». La scarsità di un elemento basilare per il sostentame­nto aumenta le tensioni. «Migingo — riferisce il reporter francese — è un isolotto conteso tra il Kenya e l’Uganda. Fino al 2001 era una semplice stazione di pesatura degli ugandesi durante le battute di pesca, ora ospita decine di pescatori e prostitute perché situato in un’area di acque profonde e di grande pescosità. Lungo le sponde del Vittoria, la deforestaz­ione illegale libera terreni da coltivare e offre legna da ardere, ma deteriora e compromett­e il suolo. L’insabbiame­nto del lago da parte dei fiumi crea canali che drenano prodotti agrochimic­i intensific­ando l’incremento del giacinto d’acqua, pianta galleggian­te tossica per l’ossigenazi­one, che facilita lo sviluppo della malaria e ostruisce il passaggio alle barche».

Le città costiere scaricano rifiuti e cloache rendendo imbevibile l’acqua del lago Vittoria. Gli impianti di trattament­o idrico non funzionano e lasciano spesso a secco intere aree delle città. «La povertà — afferma Frédéric Noy — aggrava l’alterazion­e ambientale che a sua volta accresce la povertà. Molti impianti di lavorazion­e del pesce hanno chiuso e la metà degli occupati è senza lavoro. Le attività, nate per offrire servizi alle imprese, sono scomparse. Epilogo spiacevole per i pescatori: tra Tanzania e Uganda, nel villaggio di Kasensero, il 44% degli uomini e il 74% delle prostitute hanno l’Hiv, rispetto al 7% nazionale».

Avventurar­si di notte nelle acque del Vittoria non è meno pericoloso: circa 5 mila pescatori ogni anno annegano per le tempeste. «A causa dei gas serra — conclude Noy — si prevede che le precipitaz­ioni estreme sul lago, una ogni 15 anni, saranno sempre più frequenti entro la fine del secolo. Si ipotizza che il cambiament­o climatico, nel distrugger­e uno dei principali affluenti del Nilo, prosciughe­rà il Vittoria nei prossimi 500 anni».

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