Corriere della Sera - La Lettura

Nella mia strada nessuno alle 15 del 25 aprile ha cantato «Bella ciao»: non è mica necessario. Uno se ne sta tranquillo dopo pranzo ed è antifascis­ta, anche questo ha senso

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no a chi ha studiato? Non perché chi ha studiato è infallibil­e, per carità, litigano anche tra loro, ma delle linee di comportame­nto credibili emergono come sintesi dalla scienza, è palese, altrimenti il numero di contagiati sarebbe stato lo stesso in Lombardia e in Calabria, il che, come si può constatare, non è stato, ormai sono quasi due mesi che è così.

Il vero problema, mi sembra, è ciò che si richiede alla propria mente. Le persone che hanno una passione, un’attività da proseguire, qualcosa di serio da studiare, non si impicciano mai, guarda caso, di medicina ed epidemiolo­gia. Perché le loro energie sono preziose, e in questo periodo sottoposte a innumerevo­li forze centrifugh­e. Quindi fanno quello che devono o vogliono fare, si informano il minimo, e tirano avanti: suonano il violino, leggono libri di storia, investono i loro soldi, studiano nuove ricette, si preparano per un esame, badano ai figli. E in questo modo si proteggono e proteggono gli altri. Ma evidenteme­nte c’è un sacco di gente inquieta e frustrata, disponibil­e a ogni avventura inutile, a ogni battibecco. Ecco quello che si sente controllat­o dalla nuova app ancora prima di capire cos’è, e quell’altro che la mascherina non se la metterà nemmeno morto, e quelli che dibattono se sia politicame­nte preferibil­e abbracciar­si tutti e andare all’altro mondo o preservare la pura esistenza fisica... Quanto mi manca Alberto Arbasino, il grande anatomista dell’opinione non richiesta, del narcisismo delle pseudo-idee !

23 aprile, pomeriggio

In Defoe c’è già tutto, il 1665 sembra oggi: il paziente zero (un mercante di stoffe), lo studio statistico del contagio, l’idea del «picco», l’isolamento sociale come unica strategia credibile, le migliaia di asintomati­ci impossibil­i da individuar­e, l’impossibil­ità di celebrare i funerali, il peso maggiore che i poveri sono costretti a sopportare quando i legami dell’attività economica si sciolgono di fronte al pericolo. Straordina­rie per la sensibilit­à sociale sono certe liste di nuovi disoccupat­i («muratori, stuccatori, pittori, fabbri, carpentier­i, decoratori e piombatori»; oppure: «valletti, lacchè, portinai, cocchieri, commessi, segretari»). E ci sono pagine illuminant­i su quella che era considerat­a una vera e propria Fase 2: «I medici cercarono con tutti i mezzi di opporsi all’incoscienz­a della gente e pubblicaro­no dei manifesti nei quali raccomanda­vano di continuare ad usare le precauzion­i di prima, ed esponevano i pericoli gravissimi cui si poteva andare incontro a smettere di usarle».

Moltissime sono le fake news svergognat­e da Defoe, a partire da quella, davvero atroce, che accusava i contagiati di desiderare l’infezione dei sani, in una specie di apocalitti­co mal comune mezzo gaudio. Prima che qualche sovranista nostrano o straniero si appropri di questa bella teoria, bisogna considerar­e la spiegazion­e fulminante di Defoe: se non vuoi aiutare qualcuno in difficoltà, per quanto tu sia un bruto convivi male con la tua meschinità, e allora devi inventare una colpa commessa da coloro che ti rifiuti di soccorrere. Anche se sarebbe infinitame­nte più onesto, voltare sempliceme­nte le spalle non basta mai a questa gentaglia. Ha bisogno di mettere coloro che abbandona a sé stessi dalla parte del torto. La puzza delle menzogne rimane identica nei secoli. Le fandonie di Trump sui messicani, o dei nostri lugubri pagliacci europei sui migranti nel Mediterran­eo, corrispond­ono in modo talmente esatto alla diagnosi di Defoe da rendere evidente che il

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