Corriere della Sera - La Lettura
L’afropessimismo
Memoria L’autore Frank B. Wilderson III lottò contro l’apartheid. Eppure oggi dice: «Non c’è speranza, non saremo mai considerati esseri umani»
Il nero, ha sentenziato James Baldwin nella raccolta di saggi Notes of a Native
Son («Appunti americani», 1955), è un colore «terribile con il quale venire al mondo». Dello stesso avviso era il grande pensatore W. E. B. Du Bois che, poco prima di morire, nel 1963, consigliò a un giovane ammiratore di non farsi troppe illusioni: «Il nero d’America non può vincere». Con stili e narrazioni diversi, Baldwin, Du Bois e un’ampia schiera di scrittori e intellettuali afroamericani hanno indagato perché il loro colore non conoscesse giustizia. Frank B. Wilderson III (New Orleans, Louisiana, 1956), preside del dipartimento di Studi afroamericani alla University of California, Irvine, il 7 aprile ha pubblicato negli Stati Uniti Afropessimism (Liveright, pp. 352,
$ 39,95), nel quale prende una posizione netta e provocatoria: non c’è speranza per i neri, così come non esiste soluzione all’odio razziale che li affligge. Nello spiegare il concetto di «afropessimismo», l’autore mescola spunti autobiografici a un approccio teorico critico. «La Lettura» lo ha raggiunto al telefono.
Cosa intende per afropessimismo?
«È un’analisi strutturale della sofferenza dei neri, una meta-teoria attraverso cui sostengo come il pensiero marxista e quello femminista radicale, le due grandi scuole di pensiero rivoluzionario, siano inadeguati a spiegare quella sofferenza. Il mio punto di partenza è il motto “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, attribuito da Antonio Gramsci a
Romain Rolland, alla base della concezione socialista del processo rivoluzionario. La violenza strutturale della schiavitù è diversa da quella capitalista in quanto è incessante, non conosce periodi di remissione. La violenza prodotta dal sistema capitalista nella vita di un lavoratore conosce periodi di calma, perché lo sfruttato la accetta, per poi farla ritornare alla luce quando trasgredisce le regole, per esempio attraverso lo sciopero. La violenza sui neri è rituale, perché i neri sono considerati un’antitesi dell’essere umano».
Nel libro dice che non esiste soluzione.
«Per Marx era la distruzione del sistema capitalista. Per i neri significherebbe distruggere il concetto di umanità. Non esiste, per noi, una vita prima della schiavitù a cui potere ritornare».
I neri, scrive, sono «socialmente morti».
«La schiavitù in Africa è cominciata secoli fa con gli arabi. Loro hanno deciso che eravamo socialmente morti, molto prima che arrivassero i portoghesi nel XV secolo. L’essere nero prende la forma di una fobia nell’inconscio collettivo, perché il nero non ha un’identità, rappresenta un vuoto. Un suprematista bianco riesce a spiegare le “ragioni” per cui odia un ebreo o un nativo americano ma non perché odia un afroamericano. Un suprematista bianco sa che i nativi, se prendessero il potere, si riprenderebbero la terra. Ma un nero? Non sanno come si comporterebbe. Questo vuoto li terrorizza».
La politica è responsabile di questo tipo di vuoto identitario?
«Non credo nel progetto politico americano e non voto per alcun partito. Ogni presidente, Barack Obama compreso, è un assassino. Donald Trump ha riportato in auge la vera natura dell’America, un Paese nato da un genocidio, fondato sulla schiavitù. Trump parla all’inconscio collettivo come non accadeva dai tempi di Andrew Jackson, ai primi dell’Ottocento, quando a livello istituzionale l’Africa era considerata un luogo di non-umani».
Crede che i risarcimenti per i discendenti degli schiavi possano riparare secoli di sofferenze?
«L’idea è giusta, ma è impossibile risarcire il corpo dei neri. L’unico modo è dimenticare per un attimo la quantità di sofferenze a cui è stato sottoposto. I risarcimenti allevierebbero una parte della sofferenza, restituendo i soldi che abbiamo perso nei secoli di lavoro forzato. Quello che abbiamo sofferto è molto di più: è l’assenza del concetto di vita».
Non vede uno spiraglio per il futuro?
«I miei genitori sono stati attivisti e, io stesso, ho combattuto in Sudafrica contro l’apartheid. Sono stato un membro dell’African National Congress (Anc). A un orecchio non afroamericano potrebbe suonare folle ma, lo ripeto, per i neri, per i non-umani, la soluzione è la fine del mondo che conosciamo. Ma qui sorge naturale una domanda: che cosa c’è dall’altra parte?».