Corriere della Sera - La Lettura
L’illusione dell’uguaglianza
La quarantena è cominciata con gesti di comunione: da Milano a Palermo i cittadini sui balconi cantavano insieme Fratell i
d’Italia; da Parigi a Tolosa, ogni sera alle 20, i francesi inauguravano il rito degli applausi a medici e infermieri. Forse per farci coraggio, abbiamo affrontato quella situazione inaudita con l’idea ottimista che il Covid-19 provocasse sì la riduzione delle libertà individuali, ma anche le condizioni di nuova uguaglianza — tutti a rischio, tutti confinati, tutti con le stesse possibilità di salvezza— e di fra
tellanza: i vicini che facevano la spesa per i più anziani, le chiacchiere tra sconosciuti salutandosi dalla finestra. Due mesi dopo, gli ideali di Liberté, Égalité, Fraternité che fissano il traguardo della società non solo francese sono traditi e calpestati, come e più di prima. Lo scrittore Édouard Louis ( Il caso Eddy Bellegueule, Chi ha uc
ciso mio padre) e il sociologo e filosofo Didier Eribon ( Riflessioni sulla questione gay, Ritorno a Reims) aggiornano per «la Lettura» , via FaceTime ed email, il loro sguardo da sempre critico sulla realtà. Cresciuti in ambienti popolari di provincia (Amiens, Reims), nei loro libri hanno raccontato in modo straordinario il comune destino di «transfughi di classe», il rapporto tormentato con i genitori e le origini, e il rappresentare — con il loro percorso intellettuale — l’eccezione che conferma la regola di una società ingiusta, votata a riprodurre all’infinito antiche diseguaglianze e ripartizioni di ruoli.
Quali riflessioni vi suggeriscono queste settimane di una situazione umana, politica e sociale senza precedenti?
ÉDOUARD LOUIS — Per prima cosa, penso che non dobbiamo mettere in quarantena anche il nostro immaginario politico. È vero, non siamo epidemiologi, non siamo esperti di Covid-19, ma neppure tra gli scienziati esiste un consenso assoluto. Quindi è bene mantenere una forma di interrogazione critica su quel che succede, anche se dall’inizio ci hanno chiesto subito di fare blocco, di riunirci nella Nazione. Bisognava stare tutti assieme, magari partecipando alla scene collettive come gli applausi ai medici. Certo, loro meritano i nostri ringraziamenti, ma l’anno scorso ho partecipato alle manifestazioni di piazza del personale medico contro i tagli agli ospedali, e ci siamo presi i lacrimogeni della polizia. Oggi, tra quelli che alle 20 si mettono ad applaudire i medici, ci sono magari anche elettori che hanno votato per Emmanuel Macron e i tagli agli ospedali. Se ci penso mi passa la voglia.
DIDIER ERIBON — La prima lezione politica della crisi sanitaria attuale è constatare a che punto le politiche neo-liberali di smantellamento dei servizi pubblici producono catastrofi. Da anni in Francia, ma anche in Italia, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti, i governi di destra ma anche quelli che si presentano come di sinistra hanno compiuto tagli selvaggi alla sanità, agli ospedali pubblici, alla ricerca scientifica. Meno letti, meno medici e infermieri, mancato rinnovo degli stock di mascherine, gel disinfettanti, camici, farmaci... Per due anni il personale degli ospedali ha manifestato. Avvertiva: «Non siamo più in grado di assolvere alla nostra missione». Adesso l’epidemia è arrivata, e l’incubo è ancora più grave di quello che i medici avevano preannunciato: mancano letti, uomini e materiali, dai tamponi alle mascherine.
Che cosa non va negli appelli all’unità nazionale?
ÉDOUARD LOUIS — L’idea che si debba costituire un unico popolo, una comunità, l’essere tutti insieme, storicamente è un discorso reazionario, contro i valori della sinistra e i progressi sociali. Ignora le differenze di sessualità, di genere, di etnia, di condizioni materiali... Se sei gay rischi che qualcuno ti spacchi la faccia per strada, se sei donna rischi di essere ammazzata da tuo marito. Questo accadeva già prima della pandemia. Adesso c’è una specie di ingiunzione alla sospensione della politica, chi osa dissentire, come ha fatto Giorgio Agam
Due mesi fa gli italiani cantavano l’inno sui balconi; due mesi fa i francesi applaudivano medici e infermieri alle finestre; due mesi fa eravamo convinti che la quarantena avrebbe ridotto le libertà, ma ci avrebbe resi tutti uguali (tutti reclusi, tutti potenziali vittime) e forse tutti fratelli (i vicini facevano la spesa per gli anziani, gli sconosciuti chiacchieravano sui ballatoi).
«La Lettura» è andata in Francia per vedere che fine hanno fatto alcuni valori che hanno fondato l’Occidente:
Liberté, Égalité, Fraternité. Lo ha chiesto a due osservatori straordinari e impietosi della contemporaneità, delle sue miserie, delle fratture sociali, delle ingiustizie: il romanziere Édouard
Louis e il sociologo Didier Eribon. Per concludere che era un fraintendimento
ben, viene redarguito. Quando Macron usa l’espressione «siamo in guerra», evoca più o meno consapevolmente quei momenti storici in cui le guerre non erano metaforiche, e si chiedeva la sospensione di tutte le opposizioni: tra destra e sinistra, tra dominanti e dominati, tra oppressori e oppressi, in nome dell’appartenenza al popolo unito contro il nemico. In questo caso il nemico invisibile, il virus.
DIDIER ERIBON — L’epidemia non colpisce allo stesso modo tutte le categorie della popolazione. I rischi sono molto più elevati per le persone anziane, per quelli che hanno anche altre malattie come il diabete e l’0besità, e per i più poveri, perché il loro stato di salute complessivo li rende più fragili. I più poveri sono quelli che fanno i mestieri più duri, lavori precari, quelli che non possono curarsi perché non hanno copertura sanitaria (il modello sociale americano appare qui come il più orribile di tutti) o perché sono preoccupati dei costi... C’è un dato nascosto nelle cifre del Covid-19: è l’aumento della mortalità tra i poveri.
Qual è il vostro giudizio sulla quarantena, per come è stata organizzata?
ÉDOUARD LOUIS — Mi domando se il confinamento sia davvero sanitario o non, piuttosto, sociale. Gli operai nelle fabbriche hanno continuato a lavorare, in Francia e in Italia. Come pure le cassiere nei supermercati, i fattorini, che appartengono alle classi sociali meno privilegiate e che sono più esposti al virus. Ne avevo parlato nel libro Chi ha ucciso mio padre: in Francia, se sei un operaio, hai il 50% di probabilità in più di morire prima dei 65 anni. Le persone più deboli economicamente e quindi fisicamente hanno continuato ad andare a lavorare, mentre i borghesi sono rimasti a casa con lo smart working, o si sono dedicati a rileggere i classici, fare torte alla carota o ripensare alle priorità delle loro vite. E ne avevano il diritto, per carità, questo è un tema scivoloso, non amo le ingiustizie ma neppure la pretesa di dire alle persone come devono vivere, e non va bene la tentazione della quarantena come sofferenza. Ma è un fatto che i più deboli abbiano sopportato un fardello più pesante e stiano correndo più rischi degli altri. Forse dovremmo discriminare i deboli cercando di aiutarli, e per esempio non accettare con tanta tranquillità che il dipartimento dove molti di loro abitano, la Seine-Saint-Denis alla periferia di Parigi, sia guarda caso quello più colpito dall’epidemia.
DIDIER ERIBON — La quarantena evidenzia la struttura di classe della società: intanto perché restare confinati non significa la stessa cosa per quelli che abitano nelle case con giardino o in appartamenti grandi e confortevoli, e per quelli che stanno in cinque o sei nei bilocali dei quartieri popolari in banlieue. Ma anche perché il mondo del lavoro si divide tra quelli che possono dedicarsi al telelavoro e gli altri, i meno considerati e meno pagati, di solito quasi invisibili tanto sono presenti e indispensabili: operai, netturbini, cassiere, fattorini, che prendono ogni mattina i mezzi pubblici perché noi si possa continuare a mangiare, avere l’acqua e l’elettricità... Sarebbe arrivato il tempo di considerare che la loro utilità, il loro valore sociale, è immenso e quindi meritano — meritavano e meriteranno — rispetto, salari decenti e diritti sociali, mentre le politiche recenti hanno al contrario ridotto i loro diritti all’assistenza sociale e hanno diminuito le pensioni allungando la vita lavorativa. La Start Up Nation promossa da Macron privilegiava i già privilegiati, e aveva come contropartita l’impoverimento e la precarizzazione di tutti gli altri. Dobbiamo lottare contro questi meccanismi di classe.
L’epidemia come perfetta rivelatrice di diseguaglianze che già esistevano?
DIDIER ERIBON — Il confinamento ha reso ancora più fragili tutti coloro che vivono di quel che possiamo chiamare il «lavoro informale», quelli cioè che non hanno un contratto e si trovano adesso privi di aiuti sociali o sussidi di disoccupazione. Penso per esempio alle donne di servizio che lavoravano in nero, agli studenti (tranne quelli che vengono dalla borghesia), ai camerieri di caffé e ristoranti, ai commessi nei negozi... Non hanno più niente, e ora si mettono in coda quando le associazioni di volontariato distribuiscono cibo ai poveri. Sì, ci sono centinaia di migliaia di persone che semplicemen