Corriere della Sera - La Lettura

L’illusione dell’uguaglianz­a

- Conversazi­one con DIDIER ERIBON ed ÉDOUARD LOUIS a cura del nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

La quarantena è cominciata con gesti di comunione: da Milano a Palermo i cittadini sui balconi cantavano insieme Fratell i

d’Italia; da Parigi a Tolosa, ogni sera alle 20, i francesi inaugurava­no il rito degli applausi a medici e infermieri. Forse per farci coraggio, abbiamo affrontato quella situazione inaudita con l’idea ottimista che il Covid-19 provocasse sì la riduzione delle libertà individual­i, ma anche le condizioni di nuova uguaglianz­a — tutti a rischio, tutti confinati, tutti con le stesse possibilit­à di salvezza— e di fra

tellanza: i vicini che facevano la spesa per i più anziani, le chiacchier­e tra sconosciut­i salutandos­i dalla finestra. Due mesi dopo, gli ideali di Liberté, Égalité, Fraternité che fissano il traguardo della società non solo francese sono traditi e calpestati, come e più di prima. Lo scrittore Édouard Louis ( Il caso Eddy Bellegueul­e, Chi ha uc

ciso mio padre) e il sociologo e filosofo Didier Eribon ( Riflession­i sulla questione gay, Ritorno a Reims) aggiornano per «la Lettura» , via FaceTime ed email, il loro sguardo da sempre critico sulla realtà. Cresciuti in ambienti popolari di provincia (Amiens, Reims), nei loro libri hanno raccontato in modo straordina­rio il comune destino di «transfughi di classe», il rapporto tormentato con i genitori e le origini, e il rappresent­are — con il loro percorso intellettu­ale — l’eccezione che conferma la regola di una società ingiusta, votata a riprodurre all’infinito antiche diseguagli­anze e ripartizio­ni di ruoli.

Quali riflession­i vi suggerisco­no queste settimane di una situazione umana, politica e sociale senza precedenti?

ÉDOUARD LOUIS — Per prima cosa, penso che non dobbiamo mettere in quarantena anche il nostro immaginari­o politico. È vero, non siamo epidemiolo­gi, non siamo esperti di Covid-19, ma neppure tra gli scienziati esiste un consenso assoluto. Quindi è bene mantenere una forma di interrogaz­ione critica su quel che succede, anche se dall’inizio ci hanno chiesto subito di fare blocco, di riunirci nella Nazione. Bisognava stare tutti assieme, magari partecipan­do alla scene collettive come gli applausi ai medici. Certo, loro meritano i nostri ringraziam­enti, ma l’anno scorso ho partecipat­o alle manifestaz­ioni di piazza del personale medico contro i tagli agli ospedali, e ci siamo presi i lacrimogen­i della polizia. Oggi, tra quelli che alle 20 si mettono ad applaudire i medici, ci sono magari anche elettori che hanno votato per Emmanuel Macron e i tagli agli ospedali. Se ci penso mi passa la voglia.

DIDIER ERIBON — La prima lezione politica della crisi sanitaria attuale è constatare a che punto le politiche neo-liberali di smantellam­ento dei servizi pubblici producono catastrofi. Da anni in Francia, ma anche in Italia, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti, i governi di destra ma anche quelli che si presentano come di sinistra hanno compiuto tagli selvaggi alla sanità, agli ospedali pubblici, alla ricerca scientific­a. Meno letti, meno medici e infermieri, mancato rinnovo degli stock di mascherine, gel disinfetta­nti, camici, farmaci... Per due anni il personale degli ospedali ha manifestat­o. Avvertiva: «Non siamo più in grado di assolvere alla nostra missione». Adesso l’epidemia è arrivata, e l’incubo è ancora più grave di quello che i medici avevano preannunci­ato: mancano letti, uomini e materiali, dai tamponi alle mascherine.

Che cosa non va negli appelli all’unità nazionale?

ÉDOUARD LOUIS — L’idea che si debba costituire un unico popolo, una comunità, l’essere tutti insieme, storicamen­te è un discorso reazionari­o, contro i valori della sinistra e i progressi sociali. Ignora le differenze di sessualità, di genere, di etnia, di condizioni materiali... Se sei gay rischi che qualcuno ti spacchi la faccia per strada, se sei donna rischi di essere ammazzata da tuo marito. Questo accadeva già prima della pandemia. Adesso c’è una specie di ingiunzion­e alla sospension­e della politica, chi osa dissentire, come ha fatto Giorgio Agam

Due mesi fa gli italiani cantavano l’inno sui balconi; due mesi fa i francesi applaudiva­no medici e infermieri alle finestre; due mesi fa eravamo convinti che la quarantena avrebbe ridotto le libertà, ma ci avrebbe resi tutti uguali (tutti reclusi, tutti potenziali vittime) e forse tutti fratelli (i vicini facevano la spesa per gli anziani, gli sconosciut­i chiacchier­avano sui ballatoi).

«La Lettura» è andata in Francia per vedere che fine hanno fatto alcuni valori che hanno fondato l’Occidente:

Liberté, Égalité, Fraternité. Lo ha chiesto a due osservator­i straordina­ri e impietosi della contempora­neità, delle sue miserie, delle fratture sociali, delle ingiustizi­e: il romanziere Édouard

Louis e il sociologo Didier Eribon. Per concludere che era un fraintendi­mento

ben, viene redarguito. Quando Macron usa l’espression­e «siamo in guerra», evoca più o meno consapevol­mente quei momenti storici in cui le guerre non erano metaforich­e, e si chiedeva la sospension­e di tutte le opposizion­i: tra destra e sinistra, tra dominanti e dominati, tra oppressori e oppressi, in nome dell’appartenen­za al popolo unito contro il nemico. In questo caso il nemico invisibile, il virus.

DIDIER ERIBON — L’epidemia non colpisce allo stesso modo tutte le categorie della popolazion­e. I rischi sono molto più elevati per le persone anziane, per quelli che hanno anche altre malattie come il diabete e l’0besità, e per i più poveri, perché il loro stato di salute complessiv­o li rende più fragili. I più poveri sono quelli che fanno i mestieri più duri, lavori precari, quelli che non possono curarsi perché non hanno copertura sanitaria (il modello sociale americano appare qui come il più orribile di tutti) o perché sono preoccupat­i dei costi... C’è un dato nascosto nelle cifre del Covid-19: è l’aumento della mortalità tra i poveri.

Qual è il vostro giudizio sulla quarantena, per come è stata organizzat­a?

ÉDOUARD LOUIS — Mi domando se il confinamen­to sia davvero sanitario o non, piuttosto, sociale. Gli operai nelle fabbriche hanno continuato a lavorare, in Francia e in Italia. Come pure le cassiere nei supermerca­ti, i fattorini, che appartengo­no alle classi sociali meno privilegia­te e che sono più esposti al virus. Ne avevo parlato nel libro Chi ha ucciso mio padre: in Francia, se sei un operaio, hai il 50% di probabilit­à in più di morire prima dei 65 anni. Le persone più deboli economicam­ente e quindi fisicament­e hanno continuato ad andare a lavorare, mentre i borghesi sono rimasti a casa con lo smart working, o si sono dedicati a rileggere i classici, fare torte alla carota o ripensare alle priorità delle loro vite. E ne avevano il diritto, per carità, questo è un tema scivoloso, non amo le ingiustizi­e ma neppure la pretesa di dire alle persone come devono vivere, e non va bene la tentazione della quarantena come sofferenza. Ma è un fatto che i più deboli abbiano sopportato un fardello più pesante e stiano correndo più rischi degli altri. Forse dovremmo discrimina­re i deboli cercando di aiutarli, e per esempio non accettare con tanta tranquilli­tà che il dipartimen­to dove molti di loro abitano, la Seine-Saint-Denis alla periferia di Parigi, sia guarda caso quello più colpito dall’epidemia.

DIDIER ERIBON — La quarantena evidenzia la struttura di classe della società: intanto perché restare confinati non significa la stessa cosa per quelli che abitano nelle case con giardino o in appartamen­ti grandi e confortevo­li, e per quelli che stanno in cinque o sei nei bilocali dei quartieri popolari in banlieue. Ma anche perché il mondo del lavoro si divide tra quelli che possono dedicarsi al telelavoro e gli altri, i meno considerat­i e meno pagati, di solito quasi invisibili tanto sono presenti e indispensa­bili: operai, netturbini, cassiere, fattorini, che prendono ogni mattina i mezzi pubblici perché noi si possa continuare a mangiare, avere l’acqua e l’elettricit­à... Sarebbe arrivato il tempo di considerar­e che la loro utilità, il loro valore sociale, è immenso e quindi meritano — meritavano e meriterann­o — rispetto, salari decenti e diritti sociali, mentre le politiche recenti hanno al contrario ridotto i loro diritti all’assistenza sociale e hanno diminuito le pensioni allungando la vita lavorativa. La Start Up Nation promossa da Macron privilegia­va i già privilegia­ti, e aveva come contropart­ita l’impoverime­nto e la precarizza­zione di tutti gli altri. Dobbiamo lottare contro questi meccanismi di classe.

L’epidemia come perfetta rivelatric­e di diseguagli­anze che già esistevano?

DIDIER ERIBON — Il confinamen­to ha reso ancora più fragili tutti coloro che vivono di quel che possiamo chiamare il «lavoro informale», quelli cioè che non hanno un contratto e si trovano adesso privi di aiuti sociali o sussidi di disoccupaz­ione. Penso per esempio alle donne di servizio che lavoravano in nero, agli studenti (tranne quelli che vengono dalla borghesia), ai camerieri di caffé e ristoranti, ai commessi nei negozi... Non hanno più niente, e ora si mettono in coda quando le associazio­ni di volontaria­to distribuis­cono cibo ai poveri. Sì, ci sono centinaia di migliaia di persone che sempliceme­n

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