Corriere della Sera - La Lettura

Le infallibil­i regole di Manganelli recensore

- Di ALESSANDRO PIPERNO

Guide Scrittore, traduttore, critico letterario, Giorgio Manganelli è morto a Roma trent’anni fa, il 28 maggio 1990.

Una raccolta di suoi giudizi (aspettiamo famelici il secondo volume, già annunciato) è da poco in vendita. Perché tanto entusiasmo? Perché l’autore ha saputo elevare l’arte dello scrivere di libri all’empireo della sublimità artistica.

È come avere accesso illimitato a un giardino dell’Eden. Da qui l’idea di questo vademecum per undici punti

La recensione-tipo è un minestrone di ortaggi anemici e indigesti — tratti biografici, intreccio, personaggi — condito da sentenze sommarie spacciate per verità irrefutabi­li: nel migliore dei casi ispirate dal gusto individual­e, nel peggiore da pregiudizi politici, strampalat­e teorie estetiche, generalizz­azioni sapienzial­i; il tutto filtrato dalla disposizio­ne d’animo del recensore nei confronti del recensito, della vita e dell’umanità.

Ahimè, una perniciosa coazione progressis­ta ha ridotto la recensione a descrizion­e empirica: mero strumento informativ­o ad uso del lettore volenteros­o e perbene. Che sciocchezz­a. La recensione è un’arte la cui minorità è sancita dall’esiguo spazio a disposizio­ne. Esercizio di stile gratuito, autonomo, doverosame­nte succinto, la recensione sta al saggio critico come il racconto al romanzo: per statuto ostili a mediocrità e norma, recensioni e racconti pretendono da chi se ne serve eccellenza ed essenziali­tà. Per condensare un mondo in una paginetta o due, occorrono doti orientali di stringatez­za, precisione e fantasia. Ed ecco perché le recensioni riuscite appaiono preziose e un po’ astratte come miniature giapponesi.

Ta l i mi s o n o p a r s e q u e l l e s f r e n a t a mente c o mpi l a te d a G i o r g i o Manganelli, ora raccolte in Concupisce­nza libra

ria (aspettiamo famelici l’annunciato secondo volume). Ispirato da una musa onnivora, edonista e poliglotta, Manganelli ha saputo elevare l’arte del recensire all’empireo della sublimità artistica. Questi ingemmati bonsai manganelli­ani — stipati a dozzine in un ponderoso volume tiepido e umido come una serra, così ben curato dal solito i mpeccabile S a l va to re Silvano Nigro — danno quasi le vertigini. È come avere accesso illimitato a un harem libresco, a un bi bl i ografi co gi ardi no dell’Eden.

Perché non sfruttare questo ben di dio per tracciare — s ’intende, senza crederci troppo — un vademecum del provetto recensore?

1) Il recensore non è uno snob. Se lo snobismo, nell’accezione corriva, è un atteggiame­nto settario, il lettore profession­ista — nel suo pantagruel­ico ecumenismo — è un sincero democratic­o; o se preferite, uno di quei gran signori che amano il popolo senza demagogia. La sua curiosità indagatric­e viene sollecitat­a in egual misura da romanzi, sillogi poetiche, poemi epici, saggi eruditi, classici del pensiero, poliziesch­i da edicola, racconti fantascien­tifici e persino libri di colleghi più giovani e meno affermati.

2) Il recensore non ama mettersi in mostra, rifugge toni auto-celebrativ­i e oracolari. Come una volta scrisse Proust a Gide: «Io credo, caro amico, che si può avere un alto concetto della letteratur­a e al tempo stesso vederla con sorriso e bonomia». A Manganelli non mancava né il sorriso né la bonomia, e Dio solo sa se amava la letteratur­a.

3) Quando proprio non può evitalo, il recensore parla di sé con sprezzatur­a e per interposta persona: «Forse Meneghello mi è congeniale, oltre che per la fonetica del cognome, proprio perché abbiamo abitato, ignorandoc­i, certe squisite dimore: quei saggisti del Settecento, quei narratori dell’Ottocento e anche recenti maestri, piccoli maestri dell’understate­ment, dell’elusione, del dire e non dire, della buona educazione nel cuore della tragedia che è il colmo dell’umorismo».

4) Ciò non di meno il recensore sa di avere una piccola parte in commedia; un ruolo gregario, per certi versi assimilabi­le a quello del maggiordom­o: formale, cerimonios­o e invisibile. Chiamato a definire il nucleo della propria missione, ama ricorrere all’antica arte dell’auto-svalutazio­ne: «Se un recensore ha una coscienza, e più genericame­nte dei doveri — e di ciò si può agevolment­e dubitare — io non dovrei consentirm­i di leggere e recensire Chesterton; uno Stato bene ordinato dovrebbe censurarmi e forse sottopormi a indagine giudiziari­a. Chesterton è qualcosa di diverso da uno scrittore: è una sorta di zio, un bizzarro zio che sa raccontare storie incredibil­i, che dice sciocchezz­e piene di una strana saggezza infantile, che non sgrida, non educa, ed eccita come solo uno zio può fare».

5) Il recensore dispone di una sola cartuccia interpreta­tiva. Deve scegliere, scremare, puntare sul caval

lo giusto. Niente è più insidioso dell’anelito alla completezz­a ermeneutic­a: scegliere un argomento significa escluderne mille altri.

6) Il recensore, a dispetto del cattedrati­co, non va matto per le citazioni. Se le circostanz­e lo impongono se ne avvale, di norma evita. Bisognerà anche comprender­lo: il recensito ha avuto un intero libro per esprimersi, è ora che lasci spazio al suo interprete.

7) Il recensore è un po’ matto, e la sua lucidissim­a follia si nutre di ipotesi strampalat­e come questa: «Se Stevenson avesse studiato teologia in un tetra facoltà di Edimburgo, se Hawthorne avesse coltivato caffè nel Kenia, e frequentat­o, oltre che Roma, Elsinore — bene, le cose andarono molto diversamen­te, e toccò a Karen Blixen unire nel paradosso della sua intelligen­za mistificat­rice e rigorosa, sillogisti­ca e magica, di saldare memorie africane, danesi, italiane, e disporle secondo un occulto disegno, una storia di visione insieme drammatica ed ironica; un gioco che è impossibil­e distinguer­e dalla cerimonia».

8) Il recensore diserta i sentieri battuti. Poniamo che il libro di uno scrittore di grido sia ritenuto dalla critica ufficiale e accademica il prototipo del Great American Novel. Ebbene, sarà cura del buon recensore non dare credito a certe pompose sciocchezz­e messianich­e, e indirizzar­e altrove la sua ricerca. È il tratta

mento riservato a Le avventure di Augie March: lasciando tra parentesi rabbini e gangster, Manganelli identifica il vero modello di Bellow nel novel settecente­sco.

9) Il recensore appaga la sua fame di accostamen­ti e comparazio­ni i n ve n t a n d o n e d i s a n a pianta di più freschi e imprevedib­ili: «Spesso Balzac è stato discusso accanto a Dickens; a me verrebbe naturale proporre la vertiginos­a fratellanz­a di un Dostoev s ki j . Con i l narratore russo ha in comune la capacità di sedurre grazie all’angoscia».

10) Il recensore fonda la sua autorità sugli aggettivi: tali forme grammatica­li accessorie e ripugnanti, se ben usate, possono rendere gustoso anche il sostantivo più anonimo. Nell’arte di aggettivar­e, Manganelli non ha rivali. Lui sfrutta la potenza semantica dell’attributo con tale spregiudic­atezza da stravolger­ne deliberata­mente il senso, in tal modo arricchend­olo: «L’affettuoso mormorio del nulla», «un prestigio imponente quanto arduo», «una sorta di sgarbata indulgenza».

11) Una cosa è certa: il recensore non è un uomo risentito. Ama il suo lavoro, e nutre un enorme rispetto per quello degli altri. La stroncatur­a può essere divertente (sia per chi la scrive sia per chi la legge, un po’ meno per chi la subisce), non se diventa norma o maniera: la smania censoria, la bava alla bocca, l’indignazio­ne spesso dicono più cose sulla grettezza dello stroncator­e che sull’oggetto dei suoi strali biliosi. «Al letterato spettano in primo luogo obblighi di stile: odio e disprezzo, sentimenti del tutto naturali in una sana intelligen­za letteraria, vogliono buone letture e periodi impeccabil­i». Personalme­nte, conosco pochi scrittori che abbiano saputo destare con la grazia e il brio di Giorgio Manganelli: «Cassola è il tipo che non ride nemmeno al proprio funerale».

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