Corriere della Sera - La Lettura

Il declino degli Usa quello dell’Europa e l’ascesa della Cina superpoten­za ibrida

- di VIVIANA MAZZA

Storico britannico trapiantat­o a Yale, 74 anni, Paul Kennedy sta lavorando alla nuova edizione del suo capolavoro: «Ascesa e declino delle grandi potenze». Inoltre ha appena terminato «Victory at Sea», saggio sull’affermazio­ne navale americana nella Seconda guerra mondiale che uscirà il prossimo anno. A «la Lettura» spiega i rapporti di forza attuali, sul mare e sui confini terrestri. E come la pandemia (ma non solo) potrebbe rovesciare gli equilibri mondiali

In Ascesa e declino delle grandi potenze (Garzanti), pubblicato per la prima volta nel gennaio 1988, Paul Kennedy prevedeva tre anni prima della fine della guerra fredda l’erosione del potere dei due colossi allora dominanti, Stati Uniti e Unione Sovietica. Le grandi potenze, per restare tali, devono mantenere un equilibrio difficile tra benessere economico, da una parte, e obblighi strategici e militari globali, dall’altra. Inoltre, il declino è sempre relativo all’ascesa altrui e bisogna saperlo gestire. Infatti, l’America continua a espandersi oggi, ma meno della Cina e meno rapidament­e di prima. A quel testo di 704 pagine tradotto in 23 lingue e pluripremi­ato, ritrovato pure nella libreria di Bin Laden, viene riconosciu­to di avere anticipato lo stato delle relazioni internazio­nali. Quest’estate, lo storico britannico trapiantat­o a Yale, 74 anni, intende aggiornarl­o con un’introduzio­ne e ampie riflession­i finali, una promessa che ripete da tempo. Ma ora che tutti parlano di declino americano, sarà cauto sull’ascesa cinese.

Professore, lei ha appena finito di scrivere un saggio, «Victory at Sea», storia navale della Seconda guerra mondiale, che racconta non il declino ma la stupefacen­te ascesa degli Stati Uniti.

«Anche questa è una storia di ascesa e declino: attraverso sei anni di guerra marittima racconto l’emergere degli Stati Uniti come unica grande superpoten­za nel 1945-1946. All’inizio sei Paesi si contendono il dominio del mare: Italia, Giappone, Francia, la Germania nazista, la Royal Navy britannica e la Marina Usa, che non è nemmeno la più grande. Dal 1943, in modo incredibil­mente rapido, assistiamo alla trasformaz­ione dell’ordine mondiale grazie alla produzione industrial­e americana: due portaerei al mese, 95 mila aerei in un anno. È interessan­te perché oggi, forse, dopo 70 anni di dominio marittimo americano, gli equilibri di potere stanno cambiando ancora una volta».

La Cina è una potenza continenta­le, con confini terrestri con 14 Paesi, circondata da alleati degli americani. Può competere nei mari con gli Stati Uniti?

«È difficile. La Cina ha vicini impegnativ­i e sospettosi, rapporti difficili con Taiwan, rivalità con il Vietnam, gelosie con il Giappone. A lungo i cinesi, incluso Mao Zedong, hanno trascurato il mare. Ora la Cina è di gran lunga la più grande nazione esportatri­ce al mondo, costruisce porti dal Pireo al Belgio. Non ci sorprende che anche la sua flotta militare si stia costanteme­nte ampliando. La Cina spende per la sua flotta più di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna insieme e, secondo gli esperti del Naval War College di Newport, non pensa solo a proteggere i suoi commerci: sta rapidament­e costruendo potenti sottomarin­i lanciamiss­ili e cacciatorp­ediniere, e sta cominciand­o a mettere insieme una flotta di portaerei. Penso che lo scopo esplicito sia di diventare una grandissim­a potenza navale. Anche se è limitata dalla sua natura continenta­le, vuole essere entrambe le cose: una superpoten­za ibrida. Potrebbe non riuscirci ma l’ambizione c’è».

Perché potrebbe non riuscirci?

«Non sarà mai in grado di rilassarsi ai suoi confini. Dovrà mantenere un gran numero di divisioni dell’esercito e dell’aviazione su tutte le frontiere. Inoltre, le sue politiche navali assertive allarmano molti vicini. In questo momento sono in corso esercitazi­oni e manovre congiunte nell’Oceano Indiano tra le flotte di Stati Uniti, Australia, Singapore e India. Gli altri Paesi rispondono all’ascesa navale della Cina costruendo sempre più navi. Mentre le spese dell’Europa nella difesa e specialmen­te per la marina sono in declino, in Asia orientale non è così. La Corea del Sud ha cacciatorp­ediniere oceanici, chiarament­e non solo per difendersi da eventuali aggression­i costiere nordcorean­e; la Marina giapponese è tre volte più grande di quelle europee. In passato, si diceva che il fatto che nessuno si fidi della Cina fosse un enorme vantaggio strategico per gli Stati Uniti. Ora però, dopo tre anni di questo inadeguato presidente alla Casa Bianca, dobbiamo chiederci se l’America abbia ancora tanti amici nel mondo».

Come giudica il ruolo dell’Onu, al quale ha dedicato il libro «Il parlamento dell’uomo», in queste dispute tra potenze?

«Durante questa pandemia l’Organizzaz­ione mondiale della Sanità (Oms) è stata assai criticata, ma tutti guardano comunque agli organismi internazio­nali — incluse Banca mondiale, Fmi, il programma di sviluppo dell’Onu — e chiedono che lavorino meglio perché sappiamo che i governi, anche se chiudono i confini, non sono in grado da soli di gestire le minacce transnazio­nali. Di fronte al fatto che le potenze del Consiglio di sicurezza non cooperano per arroganza, credo che la via da seguire sia aumentare i membri di quell’organismo e migliorare la collaboraz­ione tra agenzie di medio livello dell’Onu e ong. Con l’emergere della Cina e la domanda se l’America abbia superato il suo apice, siamo in un nuovo capitolo della storia di ascesa e declino delle grandi potenze; ma accanto a essa c’è una seconda storia, quella delle sfide non tradiziona­li e transnazio­nali di cui la pandemia è la più estrema espression­e».

È nel Pacifico che si deciderà il destino delle superpoten­ze? I conflitti continuano anche nel Mediterran­eo e nel Golfo Persico.

«C’è una scuola di pensiero geopolitic­o che sostiene che il centro del mondo, dopo molti secoli, si sia spostato dal Mediterran­eo di Fernand Braudel all’Atlantico del Nord, e poi al Pacifico. Per lungo tempo non sembrava plausibile. Adesso l’ascesa della Cina e l’enormità delle sue esportazio­ni ha ricoperto il Pacifico settentrio­nale e centrale di navi dirette ai porti di Los Angeles, San Francisco, Vancouver, dell’Australia. Il Pacifico sta diventando un centro di attenzione e rivalità. Ma questo non cambia le dinamiche religiose e settarie in Medio Oriente. Nella tragica distruzion­e della Siria, che riguarda Paesi mediterran­ei come l’Italia e la Grecia con le conseguenz­e umanitarie, c’è un’altra variabile: l’ambizione del presidente russo Putin. Quand’era agente del Kgb vide, umiliato, la Germania dell’Est esultare mentre i russi se ne andavano, guardò con orrore Gorbaciov dissolvere l’Urss. Ora, con la sua politica di risentimen­to, vuole a tutti i costi che la Russia sia una grande potenza, anche se l’economia è relativame­nte debole. L’alleanza con Assad e la base navale russa nel Mediterran­eo orientale sembrano riportare ai tempi dello zar Pietro il Grande. Putin usa le navi da guerra come pedine di prestigio sulla scacchiera internazio­nale ma il declino russo è irreversib­ile. Cos’ha Mosca da vendere al mondo? Solo petrolio e gas, e le esportazio­ni sono crollate. Oggi è al secondo posto per contagi da Covid».

Dopo la pandemia alcuni immaginano la Cina alla guida dell’ordine mondiale, altri il suo tramonto. Nel nuovo «Ascesa e declino delle grandi potenze» chi sale e chi scende?

«Il nuovo capitolo di questa storia è su Pechino e sul relativo declino degli Stati Uniti, oltre al continuo declino dell’Europa, nonostante l’integrazio­ne. Quattro anni fa stavo pensando di aggiungere il sottotitol­o All’ombra della Cina. Ma una giovane ricercatri­ce di nome Elizabeth mi fece riflettere. “Professor Kennedy, non correrà il rischio d’essere troppo alla moda? Sarà come tutti gli altri: affascinat­o dall’ascesa della Cina, convinto che sia la superpoten­za numero uno. Ma cosa accadrà se c’è una guerra civile o se tra 5 anni il Partito comunista perde il controllo? O se per via delle pressioni ambientali o dell’invecchiam­ento della popolazion­e la Cina inciampa e cade? Non ci farebbe una bella figura. Tra dieci anni la gente rileggerà la sua seconda edizione e dirà: quant’è datata!”. Penserò alle osservazio­ni di Elizabeth quando scriverò le mie riflession­i finali. Dovrò stare molto attento alle parole che uso. Alla fine della prima edizione, avevo inserito un monito, che poi tolsi temendo d’essere già lungo o che suonasse impertinen­te. Era un antico proverbio arabo: chi prevede il futuro e indovina non è intelligen­te, è soltanto molto fortunato».

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