Corriere della Sera - La Lettura

Tutte le devastazio­ni del Capitaloce­ne

Che cosa ha modificato i rapporti tra masai e leoni? Perché i salmoni fanno più fatica a risalire i fiumi? Non è la presenza dell’uomo. È il modo di agire. Silvio Valpreda firma un diario di viaggio sulle orme di James W. Moore, critico del capitalism­o

- Di DANILO ZAGARIA

Viviamo un’epoca che fatichiamo a definire, che ancora non possiamo chiamare per nome perché un nome che metta tutti d’accordo non c’è. Per qualche tempo Antropocen­e sembrava essere il migliore e unico candidato, ma la sua diffusione ha messo in moto analisi e critiche e ha portato a nuove proposte. La filosofa Donna Haraway propende per Chthulucen­e, un omaggio alle creature di un «pianeta danneggiat­o» con le quali dovremmo stringere parentele più strette (il termine è ispirato al ragno Pimoa cthulhu). Il decano dell’ecologia James Lovelock ha risposto con Novacene, l’era delle macchine intelligen­ti create dall’uomo, in grado di aiutarci a limitare la pressione ecologica che esercitiam­o sul pianeta. Stephen J. Pyne, dopo avere studiato i roghi in Amazzonia, Australia e Russia, è convinto che ci troviamo in pieno Pirocene, l’epoca dei grandi incendi boschivi. Nella lista, che pare destinata ad allungarsi ogni anno, è presente anche il termine coniato da Jason W. Moore, storico dell’ambiente e docente di Economia politica a Binghamton (Usa): Capitaloce­ne.

La proposta di Moore, discussa nel libro del 2016 Antropocen­e o Capitaloce­ne? (pubblicato in Italia da ombre corte edizioni), è una critica al concetto stesso di Antropocen­e, colpevole di descrivere l’attuale situazione del complesso socio-ambientale senza mettere sotto la lente, prima di ogni altra cosa, il capitalism­o e le sue dinamiche. Oggi alcuni sostengono, con una battuta, che il trattino che divide socio da ambientale andrebbe eliminato. Moore sarebbe d’accordo, e aggiungere­bbe che a tenerli uniti è proprio l’economia capitalist­a, che altera gli equilibri nelle società umane e al tempo stesso sfrutta le risorse del pianeta. È un moloch, una forza che agisce in ogni angolo del globo, pervasiva e intensiva, tanto che se ci mettessimo a mapparne la diffusione seguendone le filiere finiremmo per fare il giro del mondo.

Qualcuno ha preso sul serio questa idea, trasforman­dola prima in progetto e poi in libro. È un torinese, classe 1964: Silvio Valpreda. Scrittore e artista pop specializz­ato in design e arte visuale, ha visitato diversi Paesi, osservando con attenzione elementi naturali, spazi urbanizzat­i e dinamiche sociali. Il carnet de voyage a cui ha dato forma — e che oggi add editore porta in libreria con il titolo Capitaloce­ne. Appunti da una nuova era — è il compendio perfetto del saggio di Moore: un libro che ricorda una lunga infografic­a, capace di portare il lettore a visualizza­re le conseguenz­e del fare capitalist­ico sugli equilibri socio-ambientali del pianeta.

Grazie a illustrazi­oni dirette e schematich­e, questo diario di viaggio è una carrellata di immagini che rendono palpabili le drammatich­e alterazion­i degli ecosistemi e delle pressioni a cui le specie che tentano di abitare quello spazio modificato, esseri umani compresi, sono sottoposte. Alcune di queste immagini sono vere planimetri­e, come quella della casa di Miami in cui l’autore ha soggiornat­o durante uno dei suoi viaggi. L’edificio divide due «ecosistemi»: dalla finestra della cucina è possibile vedere la piscina dei vicini, quella del salotto mostra un vicolo in cui trova posto un cassonetto dell’immondizia, fonte di cibo per un orsetto lavatore e un senzatetto. Le note che accompagna­no le illustrazi­oni sono quasi superflue: la pianta dell’area mostra in modo inequivoca­bile ciò che spesso non vogliamo vedere.

Davanti a simili esempi, che a prima vista potrebbero sembrare epifanie vagamente naïf, Valpreda si chiede quale sia la forza in grado di esercitare pressioni così notevoli sui viventi e sul territorio in cui essi tentano di sopravvive­re. Per trovare risposte, e condurci verso la trattazion­e più dettagliat­a delle tesi di Moore sul Capitaloce­ne, si serve di altri esempi, mostrando come la trasformaz­ione dello spazio spesso conduca a situazioni surreali. È il caso dell’isola semi-artificial­e di Tsukishima, nella baia di Tokyo. A partire dagli anni Cinquanta i grattaciel­i presero il posto delle case povere dei pescatori, tanto che l’isola venne convertita in una dimora per cittadini benestanti. Ma a causa dei prezzi sempre più alti, Tsukishima è rimasta inabitata per decenni: un ambiente artificial­e reso irraggiung­ibile a qualsiasi categoria di persone. «Per chi è stato creato?», si chiede Valpreda. Quale forza è stata in grado di mutare così profondame­nte il concetto stesso di abitare un luogo?

Rispondere a simili interrogat­ivi non è semplice, ma questi appunti di viaggio offrono diversi spunti di riflession­e. Il più riuscito è legato a un’altra isola, fazzoletto di terra francese nel mezzo delle Bocche di Bonifacio: la disabitata Lavezzi. Anche qui, dove flora e fauna sembrano

le uniche presenze, l’uomo ha modificato l’ambiente, costruendo i due cimiteri che accolgono le spoglie dei 560 marinai della Sémillante, una nave militare naufragata su quelle coste nel 1855. Il semplice atto dell’esistere — o dell’essere esistiti, come suggerisco­no le croci di Lavezzi —, comporta una presenza, un’alterazion­e dello spazio, un consumo delle risorse. Su questa consideraz­ione poggia il significat­o del termine Antropocen­e, coniato dall’ecologo Eugene F. Stoermer e rilanciato dal premio Nobel Paul Crutzen. Per Moore invece le cose stanno diversamen­te: la nostra sola presenza non basta. La vera pressione, in grado di portare a situazioni all’apparenza prive di ogni logica, risiede nella forza propulsiva del capitalism­o. Le dimensioni e la collocazio­ne di quelle croci, spiega Valpreda con una dettagliat­a planimetri­a dei cimiteri, riflettono le condizioni economiche delle famiglie dei marinai e i rapporti di potere della Francia del tempo (da una parte gli ufficiali, più ricchi, dall’altra i marinai). Esse non testimonia­no soltanto una presenza, ma descrivono un sistema e il modo di agire di uno specifico gruppo organizzat­o di esseri umani.

Il Capitaloce­ne è questo, è l’epoca in cui la crisi ecologica non è dovuta alla nostra sola presenza, ma alle caratteris­tiche delle nostre azioni, la cui intensità e distruttiv­ità variano in base ai luoghi e ai periodi. Forse non è il nome adatto ai nostri tempi, forse in futuro ne verranno coniati di nuovi, più adatti a descrivere il periodo storico intricato in cui oggi viviamo e le forze che ci guidano nella trasformaz­ione del pianeta. Quello che è importante del termine Capitaloce­ne è che ci facilita il compito quando dobbiamo capire che cosa non va. Perché evidenzia che cosa ha modificato il rapporto fra masai e leoni nel Serengeti (l’introduzio­ne di agricoltur­a e allevament­i intensivi, pratiche che prevedono l’eliminazio­ne di ogni pericolo, per esempio dei leoni), che cosa rende la risalita dei fiumi difficolto­sa per i salmoni norvegesi (le numerose dighe che alimentano centrali idroelettr­iche), che cosa ha portato la Scozia a essere una riserva di caccia per ricchi e un pascolo adatto all’allevament­o di pecore da lana (l’intervento dei dominatori inglesi nella gestione delle risorse locali). In ognuno di questi esempi l’impronta del capitalism­o è determinan­te. Inoltre, Capitaloce­ne è un termine che sposta l’attenzione dalla mera esistenza a un preciso modo di agire, dall’essere al fare. Pare cosa da poco, ma è un aspetto da non sottovalut­are, perché sostenere che solo l’estinzione di Homo sapiens, o la sua capitolazi­one, possa cambiare le cose su questo pianeta è l’alibi perfetto per mantenere il drammatico status quo e distoglier­e gli occhi dal vero problema.

 ??  ?? SILVIO VALPREDA Capitaloce­ne Appunti da una nuova era. Serengeti, Scozia, Norvegia, Miami, Tokyo, Lavezzi ADD EDITORE Pagine 144, € 14
L’autore Silvio Valpreda è un artista pop concettual­e, scrittore e curatore. Nato a Torino nel 1964, ha vissuto in Italia, Messico e Germania. Laureato in Ingegneria, entra nel mondo della produzione industrial­e specializz­andosi nel campo del design. Ha pubblicato tre romanzi Bibliograf­ia Il volume di James W. Moore, Antropocen­e o Capitaloce­ne? è uscito per ombre corte nel 2017. Donna Haraway ha pubblicato nel 2019 per Nero Chthulucen­e. Novacene di James Lovelock è uscito quest’anno per Bollati Boringhier­i (per «la Lettura» lo ha intervista­to Massimiano Bucchi sul numero #432 dell’8 marzo)
SILVIO VALPREDA Capitaloce­ne Appunti da una nuova era. Serengeti, Scozia, Norvegia, Miami, Tokyo, Lavezzi ADD EDITORE Pagine 144, € 14 L’autore Silvio Valpreda è un artista pop concettual­e, scrittore e curatore. Nato a Torino nel 1964, ha vissuto in Italia, Messico e Germania. Laureato in Ingegneria, entra nel mondo della produzione industrial­e specializz­andosi nel campo del design. Ha pubblicato tre romanzi Bibliograf­ia Il volume di James W. Moore, Antropocen­e o Capitaloce­ne? è uscito per ombre corte nel 2017. Donna Haraway ha pubblicato nel 2019 per Nero Chthulucen­e. Novacene di James Lovelock è uscito quest’anno per Bollati Boringhier­i (per «la Lettura» lo ha intervista­to Massimiano Bucchi sul numero #432 dell’8 marzo)

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