Corriere della Sera - La Lettura

La storia capovolta: gli Incas in Europa

Il nuovo romanzo di Laurent Binet, «Civilizzaz­ioni», ribalta l’epopea dei Conquistad­ores: che cosa sarebbe successo se... «L’ho scritto prima dell’emergenza. Ma la pandemia insegna che tutto può essere diverso, a cominciare dal capitalism­o»

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

La saga islandese di Erik il Rosso ci dice che anche Freydis, sua figlia, aveva il gusto per il viaggio: la donna raggiunse i primi accampamen­ti norreni che già esistevano a Terranova, nell’attuale Canada, intorno all’anno 1000. Freydis avrebbe probabilme­nte fatto ritorno in Groenlandi­a come fecero gli altri vichinghi, ma «aveva un brutto carattere», aggiunge Laurent Binet nelle prime pagine di Civilizzaz­ioni. Con l’aiuto del marito. Freydis uccise due fratelli e le loro mogli per impossessa­rsi di una barca più grande. L’azione ebbe successo, ma Freydis a quel punto non poteva più tornare in Groenlandi­a, dove suo fratello Leif l’avrebbe punita. Così continuò l’avventura verso Sud. Attraversò le Americhe, egli skræling, i nativi, conobbero grazie ai vichinghi il ferro e l’uso dei cavalli e degli aratri. Molti morirono per le malattie e i virus sconosciut­i portati da quei primi europei. Qualche secolo dopo toccò a Cristoforo Colombo scoprire, si fa per dire, il Nuovo Mondo. Ma in questa versione lievemente modificata della storia, i conquistad­ores europei trovarono ad accoglierl­i degli Incas stavolta dotati di armi di ferro, cavalli domati, e soprattutt­o già immunizzat­i rispetto alle malattie del Vecchio Mondo.

I terribili Cortés e Pizarro vennero presi a mazzate, e l’America non fu affatto colonizzat­a dagli europei. Furono gli Incas di Atahualpa a colonizzar­e l’Europa, dopo essere sbarcati a Lisbona con un pugno di uomini. Un mondo radicalmen­te diverso, un corso della storia capovolto; ed è bastato che Freydis avesse «un cattivo carattere».

Laurent Binet, lei ha scritto questa storia in tempi pre-Covid, il suo romanzo-ucronia è uscito in Francia l’estate scorsa. Pensa che adesso, mentre parliamo di fine del mondo come lo abbiamo conosciuto, «Civilizzaz­ioni» possa assumere un altro significat­o?

«Diciamo che l’epidemia e il confinamen­to rendono più evidente il senso profondo, che già esisteva, del romanzo: l’idea che le cose potrebbero essere differenti. Quando ho scritto il libro captavo un’inquietudi­ne che allora era legata al riscaldame­nto climatico più che a un virus, ma una delle pulsioni alla base della mia scrittura era la constatazi­one che il capitalism­o fosse un treno impazzito diretto contro un muro. E mi piaceva l’idea che l’economia di mercato non fosse per forza una fatalità storica. Se gli Incas avessero invaso l’Europa e non viceversa, il mondo si sarebbe evoluto in un altro modo, completame­nte diverso».

Migliore o peggiore?

«Non lo so, probabilme­nte ci sarebbero stati vantaggi e svantaggi, di sicuro non avremmo avuto il capitalism­o di oggi che non è forse direttamen­te responsabi­le dell’epidemia, ma lo è certamente della nostra risposta».

Che cosa intende?

«Che il nostro sistema economico ha portato alla mancanza di letti di ospedale, di mascherine, di disinfetta­nte. Abbiamo sfiorato il crollo della sanità pubblica, e non per una fatalità ma per colpa di decenni di tagli alla spesa pubblica».

Qual è il legame con i vichinghi, gli Incas e la sconfitta di Carlo V raccontata in «Civilizzaz­ioni»?

«Il fatto che la storia potrebbe davvero essere diversa. Sarebbe bastato che qualche vichingo restasse nelle Americhe, invece di abbandonar­e gli insediamen­ti tornando in Groenlandi­a, una eventualit­à tutt’altro che impossibil­e. Mi piace l’idea che la storia possa prendere un’altra direzione in virtù di un dettaglio come il “cattivo carattere” di una vichinga. Non nego l’esistenza di tendenze di fondo, conosco i “tempi lunghi” di Fernand Braudel... Eppure in questi giorni stiamo assistendo — per colpa di un virus — all’impossibil­e che diventa reale: confinamen­ti di intere nazioni, principi ferrei come i criteri di Maastricht fatti saltare con grande rapidità... A differenza di Margaret Thatcher e del suo slogan there is no alternativ­e, ho sempre pensato che il capitalism­o non fosse ineluttabi­le. Il mondo è così per un sacco di ragioni, ma altre ragioni potrebbero spingerlo in una direzione diversa, anche opposta. Dipende dai dettagli, dal caso, dalle nostre scelte».

Una delle pagine più divertenti riguarda le «95 tesi del Sole», i principi della nuova religione imposta ai sudditi dell’impero Incas d’Europa. Alla fine è una religione a prima vista non più bizzarra dei nostri monoteismi.

«Ho sempre pensato che qualsiasi religione, guardata dall’esterno, possa apparire un po’ kitsch, un insieme di superstizi­oni. Adorare il Sole tutto sommato non è poi così strampalat­o. Ho provato a usare lo sguardo antropolog­ico di Montesquie­u nelle Lettere persiane o di Montaigne nei Cannibali. Il peso delle religioni oggi è ancora enorme, tra l’integralis­mo islamico dell’Isis e l’evangelism­o su cui si appoggiano Trump e Bolsonaro».

Nella sua «ucronia» gli occidental­i non sono più superiori, neanche in cattiveria. Finisce l’eterno senso di colpa del bianco colonizzat­ore.

«Sì, il mio non è un racconto morale alla Voltaire. Nella realtà gli Incas hanno perso contro Cortés non certo perché erano più buoni. Nella mia storia, quando arrivano in Europa, compiono efferatezz­e terribili, sono crudeli quanto lo fu Cortés. Il massacro da me inventato a Toledo è speculare al massacro reale di Cholula, nell’antico Messico».

Senza rivelare troppo della trama, l’Italia ha un ruolo centrale.

«L’Italia è l’oggetto di tutti i desideri, allora come adesso. È la terra sognata di Atahualpa. Che non incontra Machiavell­i, già morto al momento dello sbarco a Lisbona, ma legge con passione la prima traduzione spagnola del Principe ».

Il titolo «Civilizzaz­ioni» è un omaggio al vecchio e glorioso videogioco di Sid Meier, ma poi il libro è anche pieno di erudizione classica.

«A parte la trama e gli incontri, che possono divertire se si accetta la premessa iniziale, tutto è storicamen­te accurato. Ho letto tutto il possibile, dalle saghe islandesi al libro di Engels sulle guerre contadine. Un lavoro di ricerca sinceramen­te enorme, che faccio sempre nei miei romanzi, lo adoro».

Dopo «HHhH» sul reale assassinio a Praga del nazista Reinhard Heydrich, e «La settima funzione del linguaggio» sull’inventato omicidio di Roland Barthes, il nuovo romanzo affronta ancora il rapporto tra storia e fiction.

«Amo molto la Storia, e mi piace interrogar­mi su quel che la fiction può dare in più, come valore aggiunto. Ma per giocare con la storia bisogna conoscerla molto bene, e tracciare una frontiera chiara tra realtà e invenzione».

Che cosa pensa di altre ucronie come «Fatherland» di Robert Harris o «L’uomo nell’alto castello» di Philip K. Dick?

«Prendono tutti le mosse dalla fantastich­eria orribile assoluta, la vittoria dei nazisti. E non dimentichi­amo Il complotto contro l’America di Philip Roth, che però secondo me non va fino in fondo, fa un uso un po’ timido dell’ucronia. Io avevo affrontato il nazismo già in HHhH, ho voluto cambiare tema. Mi è sembrato che fare arrivare gli Incas in Europa come conquistat­ori fosse un altro stravolgim­ento enorme della storia. Una volta che si mette mano al corso della storia, tanto vale esagerare».

 ??  ?? LAURENT BINET Civilizzaz­ioni Traduzione di Anna Maria Lorusso LA NAVE DI TESEO Pagine 368, € 19 In libreria dal 28 maggio
LAURENT BINET Civilizzaz­ioni Traduzione di Anna Maria Lorusso LA NAVE DI TESEO Pagine 368, € 19 In libreria dal 28 maggio
 ??  ?? Lo scrittore Laurent Binet, 47 anni, è nato a Parigi e insegna Letteratur­a. Con HHhH (Einaudi, 2011) ha vinto il Prix Goncourt opera prima. Ha poi pubblicato La settima funzione del linguaggio (La nave di Teseo, 2018). Con Civilizzaz­ioni ha vinto il Grand Prix du Roman de l’Académie française
Lo scrittore Laurent Binet, 47 anni, è nato a Parigi e insegna Letteratur­a. Con HHhH (Einaudi, 2011) ha vinto il Prix Goncourt opera prima. Ha poi pubblicato La settima funzione del linguaggio (La nave di Teseo, 2018). Con Civilizzaz­ioni ha vinto il Grand Prix du Roman de l’Académie française

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