Corriere della Sera - La Lettura
Nel regno dei giocattoli il sovversivo è Pinocchio
Antropologia Le bambole spocchiose e quelle bisognose di cure. Il modello inarrivabile di Barbie e la rivoluzione tenera degli orsacchiotti. Vincenzo Capuano esplora l’universo dei balocchi, ricco di indicazioni sui tratti di ciascuna epoca storica
In ogni uomo autentico si nasconde un bambino che vuole giocare. Lo ha detto Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra, che tutto è tranne che un tutorial ludico. Perché giocare ha solo in apparenza a che fare con lo spasso, lo svago, l’assenza di responsabilità. Invece è forse la cosa più seria che l’uomo abbia mai inventato. Lo racconta un bel libro di Vincenzo Capuano edito da Mursia, Giocattologia. L’autore, che insegna Storia del giocattolo all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa, ha le idee molto chiare. Anche il più semplice dei giochi, come la trottola e perfino il tappo di una gassosa, ci dice chi siamo stati e che cosa siamo diventati. Ogni oggetto va letto alla luce dell’epoca in cui è stato creato, pensato, usato, tramandato.
Capuano non si limita a ricostruire l’evoluzione dei giochi, ma racconta i contesti antropologici e sociali nei quali sono stati pensati e amati, consumati e detestati, salvati e restaurati per essere messi in mano alle nuove generazioni. Li legge come geroglifici di mentalità passate o presenti, non come semplici trastulli o strumenti pedagogici. Per questo il libro è avvincente. D’altra parte, nasce da una passione lunga una vita, che si è presto trasformata in collezionismo. Non a caso quando il regista Saverio Costanzo ha girato la prima puntata della serie tv L’amica geniale, tratta dal bestseller di Elena Ferrante, si è rivolto a lui perché gli procurasse le bambole di Lila e Lenù. Le due protagoniste infatti passano ore a cullare due pupe di pezza di seconda mano, ereditate come un manuale di maternage dalle loro mamme e nonne. E Capuano le ha estratte dalla sua collezione di oltre cinquemila esemplari. Perché lui ama la storia sociale, quella con le ginocchia sporche e i gomiti consumati, e non snobba i giochi dei proletari.
Insomma, se — come dice lo storico Johan Huizinga — c’è una matrice ludica in ogni azione dell’uomo, allora in ogni giocattolo possiamo rintracciare lo spirito di un’epoca, il suo modo di pensare, di proiettarsi nel futuro. E soprattutto possiamo decodificare l’idea di infanzia che ha orientato i creatori di giochi. Basti pensare alla differenza tra il giocattolo antico e quello della società di massa. Il primo aveva lo scopo di educare e intrattenere. Era un totem con il quale identificarsi. Il giocattolo prodotto dal consumismo è invece uno strumento che specializza la fantasia e la spinge all’azione. Sviluppa soprattutto la ragion pratica. Si deve solo premere un pul
sante, muovere mu una leva, impugnare una consolle. Il giocare si polverizza po in una miriade di azioni distinte.
Capuano Capua si comporta come un regista, taglia e monta i fotogrammi fotogram della storia, seguendo un filo narrativo coerente e al a tempo stesso amplissimo. Da bambino si era improvvisato improvvi archeologo domestico, rovistava nel fondo dei cassetti ca per trovare oggetti dimenticati, che gli apparivano appariva carichi di una storia remota, quasi magica. Crescendo Crescend e studiando, il docente napoletano si è presto reso conto c che il giocattolo non è mai neutrale, innocente, né tantomeno innocuo. Basta pensare a come ha condizionato condizio per secoli la costruzione dei generi maschile e femminile. f Ma anche il modo in cui ha instillato valori come com l’ordine, la disciplina, il successo, la competizione, la l creatività. Così, da autentico «giocattologo», come ama am definirsi, prende per mano il lettore e lo conduce in un u percorso dettato dal logos. Tenendosi alla larga da quel pathos stucchevole che spesso si associa all’universo all’univer infantile.
Lo scrittore scri russo Vladimir Nabokov diceva che la parola «realtà» «rea è l’unica che andrebbe scritta sempre fra virgolette, virgolette come dire che è impossibile definirla e fissarla, e persino pers essere sicuri che davvero sia la stessa per tutti. Per questo il gioco non è semplicemente una fuga dal reale, reale semmai è costruzione di una realtà ulteriore. Oggi diremmo dire aumentata. In questo senso Capuano è l’allievo di d quel grande sociologo dei giochi che è stato Roger Caillois, Ca per il quale il giocattolo è «essenza e matrice dell’esperienza dell e dell’esistenza umana».
Come mostra la storia secolare delle bambole. Che per i Greci Grec e i Romani erano il simbolo della fanciullezza virginale. virginale Tanto che al momento del matrimonio dovevano essere esse abbandonate. Nel Medioevo, invece, questi simulacri simulacr femminili perdono d’importanza, proprio come accade accad ai bambini che, immessi nel mondo del lavoro dalla più p tenera età, non devono fingersi adulti, visto che lo diventano div fin troppo presto. Dal Rinascimento in poi le do dolls diventano giochi per le dame, che si specchiano nelle n loro miniature e le vestono lussuosamente.
Nell’Inghilterra Nell’In di Elisabetta I vengono obbligatoriamente battezzate ba con i nomi delle rampolle della royal
family. E a Parigi nasce il celebre modello Pandora, di fatto un’adulta un’ rimpicciolita, damascata e impennacchiata. La prima vera icona della moda. Così spocchiosa e odiosa che durante la Rivoluzione francese alle bambine giacobine giacob vengono regalate ghigliottine affilatissime per decapitare decap le poupées requisite alle grandes dames.
Da allora le bambole sono diventate bambolotti, lattanti bisognosi bisognos di cure. Fino a quando, nel 1956, la signora Mattel vede ve in una tabaccheria di Lucerna una bambolina sexy che c la folgora. Una procace platinette di nome Lilli che si vende agli uomini in cerca di curve su cui posare occhi oc indiscreti. Acquistato il brevetto, la ribattezza Barbie Bar ed è subito boom. Così la biondina diventa croce e delizia delle ragazze di tutto il mondo. Perché da bambina ba ti fa sognare di diventare come lei e da adulta adul ti fa dannare perché non sei come lei. Oggi in vers versione Hello ha conquistato il diritto di parola, che esercita grazie a un server californiano che risponde spo a qualsiasi domanda.
E se la bambola si è sempre collocata dalla parte delle bambine, a spingere un giocattolo fra le braccia dei maschietti ci ha pensato all’inizio del Novecento Margarete Marga Steiff. Che prima di diventare la più grande imprenditrice imprend europea del toy business era una sarta, costretta sulla sedia a rotelle dalla polio. È lei a cucire il
peluche in i grado di soddisfare quella voglia di tenerezza unisex che ch dorme in ciascuno di noi. Nasce così il primo orsetto della d storia. Nasino all’insù e due bottoncini di legno al posto p degli occhi.
Di fatto, fatt sostiene Capuano, dobbiamo proprio a questa signora signo tedesca la prima grande rivoluzione di genere nel mondo mo ludico, perché ha abilmente sfruttato l’immagine forte f dell’orso, bersaglio dei virilissimi cacciatori, per educare ed intere generazioni a una nuova sensibilità. Sdoganando Sdoga la coccola al maschile. E aprendo, di fatto, la strada s al primo giocattolo omo della storia, quel Gay Bob, a metà tra Paul Newman e Robert Redford, che vedrà la luce l nel 1977. E se l’orsetto Steiff ha intenerito i cuori europei, eur a quelli americani ci ha pensato il Teddy Bear, l’orsacchiotto l’or che viene battezzato con il nickname del presidente presi americano Theodore Roosevelt perché nel 1902 si era rifiutato di sparare a un cucciolo d’orso. Un gesto di pietà che decreta il successo degli orsetti. Una fortuna fortu che raggiunge l’apice negli anni Cinquanta, quando diventa d una hit di Elvis, che canta alla sua bella
Let me be b your Teddy Bear. Con tanti saluti al maschio alfa. Un controcanto al virilismo militaresco che inchiodava i maschi a fuciletti e carri armati.
Ma il secolo breve è testimone anche di un altro cambio di paradigma. Impresso dall’arrivo sul mercato di Pinocchio. Pensato per il sesso forte, viene adottato a sorpresa dalle bambine. Che si sbarazzano di biberon e passeggini, ed eleggono il celebre burattino a giocattolo del cuore. Così l’incorreggibile e volitivo birbante di fatto ha rottamato i vecchi cliché educativi. Bugiardo e infingardo, furfante e disobbediente, ma sempre e solo per amore della libertà. Che non ha genere.