Corriere della Sera - La Lettura

IL MISTERO ANTONIA POZZI E IL MISTERO DELL’AMORE

- Di DANIELE PICCINI

La poesia di Antonia Pozzi (1912-1938: qui sotto) è uno dei misteri del nostro Novecento: una voce squillante, esigente, nuda, che tutto vuole e senza nulla stringere alla fine si avventura per il sentiero più impervio, per il silenzio dei suoi monti, per il sacro vuoto che si apre in lei. Quanto la sua parola è sorgiva, tremula, come appena nata e indifesa, tanto è prepotente la sua richiesta di bene, di assoluta corrispond­enza, che salvi dall’oscurità del mondo. Basta una qualunque scelta di suoi testi, anche riuniti per via di un tema, come nell’antologia Tu sei l’erba e la terra. Le più belle poesie d’amore (Garzanti, pp. 96, € 4,90: l’edizione rinverdisc­e il modello dei «Miti» Mondadori, con pochi testi e nessun accompagna­mento esegetico o introduzio­ne), per risvegliar­e nel lettore l’inquietudi­ne salutare di questa voce, che sogna una vita alta, una vita intera e colma, e non potendola avere, a tutto rinuncia, ma non al dialogo con un «tu» assoluto, che sull’amore perduto, sul vuoto che esso ha spalancato, si lascia intuire e chiamare («E tu accogli la mia meraviglia / di creatura, / il mio tremito di stelo / vivo nel cerchio / degli orizzonti, / piegato al vento / limpido — della bellezza»). È una poesia che prima che d’amore (e sì che vi è desiderio e soprattutt­o una richiesta di confidenza con l’altro, di unione piena e generante, che dà vita), si vorrebbe definire come una poesia creaturale e sacra. Un anelito di più profonda e totale intimità con la bellezza sembra consumare ogni alternativ­a e strada mondana a quest’anima, facendo della sua lirica un fiore sbocciato imprevisto e fugace, purissimo.

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