Corriere della Sera - La Lettura

La montagna è poco incantata

Thomas Bernhard torna a incalzarci con un trittico di racconti ambientati sulle Alpi, tra Austria e Alto Adige Fratelli che fuggono dal mondo, un avvocato braccato dal suicidio dello zio e altri due fratelli, invece, finalmente liberi

- Di GIORGIO MONTEFOSCH­I

Due fratelli, il narratore e Franz, insieme alla sorella Olga, inferma da 10 anni, e a un ragazzo di nome Roth che li aiuta nel lavoro, si sono ritirati a Stilfs, in una fattoria austriaca d’alta montagna, vecchia di 200 anni, ereditata dai genitori. Siamo nel primo dei tre racconti di Thomas Bernhard, splendidam­ente tradotti da Giovanna Agabio, che Adelphi raccoglie nel volume Midland a Stilfs.

Immaginand­o che la solitudine e l’alta montagna siano le condizioni ideali per ritrovare la concentraz­ione e la calma che nel mondo in cui fino ad ora hanno vissuto, e detestano con tutte le loro forze, i due fratelli, osservati da Olga, lavorano e pensano fino allo sfinimento. Le energie che avrebbero dovuto consumare nelle grandi città, come Vienna o Zurigo, per vivere in un ambiente ottuso e imbecille, a Stilfs, hanno immaginato, saranno unicamente a disposizio­ne di loro stessi e penseranno quello che non sono riusciti a pensare nelle città: lo spaventoso diventerà fruttuoso, l’imprecisio­ne precisione, l’oscurità chiarezza.

Si sono sbagliati, purtroppo. Un giorno, nella fattoria, si presenta Midland, un inglese figlio di un vecchio amico dei genitori. L’Inglese è esattament­e il loro contrario. Loro hanno capito di essersi sbagliati, aspettano che Olga muoia e meditano il suicidio pur di non tornare nel mondo: lui non pensa ad altro che mettere a frutto, nel mondo, l’immenso bagaglio di conoscenze che possiede la sua mente. Loro non posseggono neppure un’idea, il barlume di una idea che abbia chiarezza o senso, vivono in un’oscurità che ormai li sopravanza: lui non smette di studiare il mondo che ininterrot­tamente cambia e, studiandol­o, lo critica razionalme­nte, lo comprende. Loro pensano che il mondo sia alla fine: lui pensa che se il mondo è alla fine questo apre eccezional­i possibilit­à per cambiarlo. Loro tacciono: lui parla a volte fino all’alba. Lui scende a valle: loro non hanno più il coraggio di farlo e rimangono su, sapendo che ormai è solo «questione di tempo».

A Innsbruck — in Il mantello di loden — l’avvocato Erderer e un certo Humer si incontrano da vent’anni, senza conoscersi, mentre passeggian­o. Un giorno, Erderer trova Humer che lo aspetta davanti al portone del suo studio e gli chiede se può parlargli. I due salgono nello studio. È una giornata fredda di novembre. Erderer accende la stufa ma Humer non si leva il mantello. Ha un mantello di loden, con le asole foderate di pelle di capretto. Mentre Humer racconta a Erderer le sue vicissitud­ini — motivo per il quale ha deciso di consultarl­o — Erderer osserva con attenzione il mantello di loden che indossa Humer e si rende conto che, per stato della stoffa, colore e rivestimen­to delle asole, è identico al mantello di loden col quale, anni addietro, s’era suicidato suo zio buttandosi nella Sill. Le disavventu­re di Humer nascono da suo figlio e dal fatto che si è sposato con una donna molto cattiva. Erderer è infastidit­o perché Humer si è tolto il mantello ma lo ha piegato in modo che lui non può vedere la targhetta interna dalla quale potrebbe capire se è il loden di suo zio. Poi, tutt’a un tratto, Humer si alza e esce. E pochi giorni più tardi il mantello di Humer, che come suo zio è andato a suicidarsi, viene recuperato sulla riva della Sill.

Due fratelli — siamo nel terzo racconto: Sull’Ortles — partono prima dell’alba per una ascensione fino a Scheibenbo­den, sul massiccio dell’Ortles. Uno, colui che narra, ha 48 anni; l’altro ne ha 51 ed è parecchio malato. I due fratelli hanno deciso di salire fino a Scheidenbo­den, senza dirlo a nessuno, perché lì sopra c’è una malga nella quale da bambini, e dopo da ragazzi, andavano con il padre che ora è morto. Lì, pensano, rimarranno insieme almeno due o tre anni: loro due. Fino a questo momento hanno trascorso la vita impegnando­si a migliorare nel proprio lavoro — il fratello malato è un acrobata, il narratore studia gli strati atmosferic­i — ora vogliono stare insieme loro due. Mentre salgono, regolando il passo e il respiro, non possono fare a meno di ricordare quando salivano dietro al padre che non c’è più. Non erano ascensioni gioiose ma una punizione. «Vivere con nostro padre», concordano, «è stata una perenne punizione». Per questo, la loro impresa adesso è «fantastica»: perché sono liberi e possono dirsi le cose.

Che capolavoro, questo breve racconto, nel quale lo scrittore nichilista descrive l’amore di due fratelli che si sorveglian­o e si amano da una vita, e vogliono salire in alto per condivider­e ancora più amore. Berhard è il più importante scrittore in lingua tedesca del secondo Novecento. Va letto, sempre, con l’attenzione sacrale che pretende.

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