Corriere della Sera - La Lettura
Tempesta di nome e di fatto: il visitatore del Sud nel Nordest
«Non è una notte da dormire. È una notte di rane e nuvole, di pensieri». Succede perché Scozzave, immaginario e immobile frazione nel Nordest più profondo, è scossa dall’improbabile apparizione di un forestiero. Di cognome fa Tempesta, arriva dal Sud a bordo di una Ritmo color amarena e non si sa cosa stia cercando. L’uomo turba soprattutto l’equilibrio del Punto Gilda, il bar del paese, dove gli avventori rispettano una rigorosa routine. Siamo nell’estate del ’94, ai tempi dei Mondiali di calcio negli Usa, e in certe delicate situazioni gli eventi inaspettati rischiano di portare jella. Questo è l’incipit di Piccola osteria senza parole (E/O 2014) di Massimo Cuomo, un romanzo che vira al giallo con uno stile poetico, denso ed evocativo. L’autore infatti riesce a descrivere, attraverso personaggi vividi e caratteristici, l’eccentrico microcosmo del luogo. Come Gilda, la proprietaria dal décolleté abbondante che instupidisce gli avventori. Il dirigente che non accetta la pensione, gira ancora con la valigetta ventiquattrore, e passa tutto il tempo davanti alla slot machine, inseguendo combinazioni di «fragole e ciliegie, stelle e diamanti, angurie e corone». Poi Carnera, un paesano di taglia extralarge, che riesce a comunicare solo con parole di quattro sillabe. Cuomo, dietro una piacevole leggerezza, fa anche trapelare temi come la tolleranza nelle diversità caratteriali fra nord e sud. Tempesta è fastidioso perché al mistero della sua presenza unisce una perniciosa e meridionale loquacità a cui i locali controbattono fieri con «gesti e non parole». Nel finale inaspettato, però, dalla forzata convivenza tutti hanno qualcosa da guadagnare.