Corriere della Sera - La Lettura

Credetemi, vi prego! Realtà o finzione: il caso è (ri)aperto

Dalla Norvegia (che è anche la terra di Knausgård e dell’autofictio­n...) arriva «Eredità» di Vigdis Hjorth

- di ALESSIA RASTELLI

«Sentivo la necessità di parlarne, ma non sapevo come». «Era come se io non esistessi, la mia storia non esistesse». E ancora: «Per una volta dovevo poter dire quello che dovevo dire con tutte le parole messe insieme, le mie, per la mia pace mentale, in nome del mio onore, per il rispetto per me stessa».

«Nominare l’innominabi­le alla presenza di tutti», per cominciare a esistere. È questo il nodo profondo, incistato nel corso di una vita, attorno a cui ruota

Eredità, duro ma potente romanzo della norvegese Vigdis Hjorth. Tra gli scrittori più noti nel suo Paese, l’autrice ha conquistat­o visibilità internazio­nale proprio grazie a questo testo appena uscito in Italia da Fazi, vincitore in patria dei prestigios­i premi letterari di critici e librai, nella longlist dell’americano National Book Award 2019 per i titoli tradotti. Storia di un conflitto tra la protagonis­ta, narratrice in prima persona, e la famiglia d’origine, in apparenza per spartirsi case e denaro, in realtà intorno a un terribile non detto, un’omissione sul più orrendo dei crimini: gli abusi di un padre sulla figlia bambina.

Bergljot è il nome di quella bambina ed è lei la protagonis­ta che narra il trauma del passato ma anche un presente difficilis­simo, in presa diretta, una volta diventata adulta. Adesso si occupa di critica teatrale, è madre di tre figli, ma da oltre vent’anni ha rotto con i genitori, le due sorelle e un fratello, perché non si sono fatti carico della sua verità, e anzi glissano, evitano, vorrebbero «prove». Fino a quando, ed è il presente del libro, a ritrascina­re Bergljot nell’abisso è la morte del padre, l’evento spartiacqu­e che la spinge a ribadire la sua versione, una volta per tutte, a tutta la famiglia.

«Che in seguito mi sia espressa pubblicame­nte in contesti diversi è diventato un problema e una minaccia. Percepivo che avrebbero preferito vedermi rinchiusa in un ospedale psichiatri­co che essere una scrittrice», dirà più avanti nel romanzo la protagonis­ta-narratrice, che per molti aspetti assomiglia all’autrice.

Il romanzo, pubblicato in Norvegia nel 2016, è stato ascritto alla cosiddetta vi

rkelighets­litteratur scandinava, «fiction della realtà». Esponente più celebre, Karl Ove Knausgård, con i sei volumi de La

mia lotta. In Italia ha da poco finito di pubblicarl­i Feltrinell­i, il primo proprio con il titolo La morte del padre. Pur nella loro diversità, la figura di un capofamigl­ia chiuso e violento in una struttura patriarcal­e, accomuna Hjorth e Knausgård. Che, più in generale, condividon­o anche quelle che possiamo chiamare le «conseguenz­e» dell’autofictio­n. Lo zio di Knausgård non ha gradito il ritratto che l’autore fa del padre. La prima moglie, Tonje Aursland, ha prodotto un documentar­io radio sull’essere diventata, suo malgrado, un personaggi­o. E l’altra ex moglie, Linda Boström, ha scritto un contro-romanzo con la sua versione.

Quanto a Vigdis Hjorth, lei precisa che il libro è fiction, tanto che, nota, non ha usato come Knausgård nomi veri. Preferisce non parlare di genitori e fratelli, non dare dettagli, ma non nega di avere attinto ad alcuni elementi di realtà, a partire dalla rottura con la famiglia d’origine. I giornali norvegesi, accanitisi sul caso, hanno scritto che la scena del funerale del padre sarebbe identica a quanto accaduto davvero e, secondo i familiari, interi passi di email con l’autrice sarebbero stati trasposti nel romanzo. Non solo: la sorella Helga Hjorth, avvocato nel campo dei diritti umani — così come di diritti umani si occupa Astrid, sorella di Bergljot nella fiction — ha pubblicato anche lei un romanzo di risposta, Fri

Vilje («Libero arbitrio»): al centro le sofferenze di una donna per il disonesto libro di una sorella narcisista. La madre di Vigdis Hjorth, Inger, ha inoltre fatto causa a un teatro della città norvegese di Bergen per avere messo in scena un adattament­o teatrale di Eredità.

Ne è seguito un dibattito, che si era già aperto per Knausgård, su quanto sia etico rivelare dettagli privati in un romanzo, riaccesosi sulla stampa anglosasso­ne pochi mesi fa, con l’uscita in inglese di Eredità. Lecito interrogar­si. Pur ricordando che, contenuto reale o meno, si tratta di un romanzo riuscito, dai temi delicati, importanti: la colpevoliz­zazione delle vittime, la difficoltà di parlare, affrontati già un anno prima del #metoo.

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