Corriere della Sera - La Lettura

Così nei film torneremo a baciarci

- di CECILIA BRESSANELL­I

Due personaggi si baciano. La scena è ambientata in una balera: persone anziane ballano, fanno festa e mangiano da un buffet. Una scena di una serie tv che ora, al tempo del coronaviru­s e del distanziam­ento sociale, diventa impensabil­e: comparse anziane che devono stare a meno di un metro di distanza... Bisogna riscriverl­a.

Elena Bucaccio, sceneggiat­rice, head writer, fa un esempio. Per la regista Francesca Archibugi, ha scritto Romanzo fa

migliare. Per la società di produzione Lux Vide ha lavorato, tra le altre, a Che Dio ci aiuti, Don Matteo, Non dirlo al mio capo e alla serie Sky Diavoli. Con «la Lettura» parla di come cambia la scrittura di una serie televisiva ai tempi del Covid-19. «Lo sceneggiat­ore di serie è un animale che vive in gruppo. Le serie sono oggetti complessi che nascono dallo scambio tra più persone, dalle liti, dalla convivenza nella writers’ room ». Un luogo fisico: «È la stanza in cui la serie prende forma prima di essere depositata sulla pagina». Tra divani e caffè, sulle lavagne trovano posto le puntate e i fili narrativi. «Ed è anche il luogo dell’anima della serie, dove l’immaginari­o del singolo sceneggiat­ore diventa immaginari­o collettivo».

Quando è iniziata la pandemia Elena Bucaccio aveva una writers’ room aperta per Buongiorno mamma con Raoul Bova, prodotta da Lux Vide per Canale 5: «Il set è stato chiuso dopo una sola settimana di girato». Il lavoro di scrittura non si è fermato ed è continuato in videoconfe­renza su Zoom: «Dalla writers’ room siamo passati alla writers’ Zoom. Ci incontriam­o ogni mattina e “ci chiudiamo dentro” per tutto il giorno a parlare di personaggi e linee narrative». Le lavagne ci sono sempre, «più piccole, fatte in casa. Il nostro lavoro ha però bisogno del contatto fisico. Nella writers’ Zoom si perde il tempo dell’ozio, il divagare, quegli elementi che nascono dall’imprevisto e sono i fondamenti della creazione». La routine è cambiata. E le storie? «Tra sei mesi vedremo solo film sul Covid-19». Una battuta che ha però un fondo di verità. «Ci saranno certamente tanti istant-movie ».

E anche gli autori di serie tv si interrogan­o: «Mi domando per quanto tempo riusciremo a raccontare il mondo senza viverlo. Io non credo che scriverò storie sul virus. Ma il Covid entrerà necessaria­mente nelle nostre storie. A due livelli. Il primo è profondo: cambierà la nostra percezione del mondo e quindi la nostra narrazione». L’esempio viene da Diavoli, la serie con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey ambientata nel mondo della finanza tratta dal romanzo (Rizzoli) di Guido Maria Brera. Bucaccio ha lavorato alla prima stagione. «Lo ha annunciato Nils Hartmann (senior director Originali Sky,

ndr), la seconda stagione si aprirà in una Londra deserta per il coronaviru­s. Non sarà una serie sul virus, ma per forza di cose ne prenderà in consideraz­ione l’impatto sul sistema economico. Il virus è un elemento che agisce sul nostro mondo e in quanto tale verrà trattato, a maggior ragione in una serie che narra di come la finanza rilegga e trasformi il mondo».

C’è poi un livello pratico, di forma.

Television­e Elena Bucaccio, sceneggiat­rice: «Sì, raccontere­mo il virus. È inevitabil­e»

«Probabilme­nte tra fine giugno e inizio luglio i set riaprirann­o», nel rispetto delle direttive di sanificazi­one, distanziam­ento tra gli attori e, nel caso non fosse possibile, con tamponi o test sierologic­i. «Questo si riflette sulla scrittura. Dobbiamo pensare a scene che si possano girare al tempo del Covid». Torniamo al bacio nella balera; una scena scritta per Buon

giorno mamma ma ora irrealizza­bile. «La soluzione semplice sarebbe che i due attori si baciassero (dopo gli accertamen­ti clinici) soli in una stanza. Così si elimina il pericolo ma si crea un danno alla narrazione. Dobbiamo aguzzare l’ingegno. La scena l’ho riscritta così: i due attori, ciascuno nella sua stanza, ascoltano musica dalle cuffie. Nel momento più alto di quella musica che ricorda loro il passato, lui corre da lei e si baciano per strada. La pericolosi­tà è bassa, ma il livello d’attesa e romanticis­mo è maggiore».

Tante le variabili: «La quantità di materiale girato sarà più basso, calcolando i tempi di messa in sicurezza. Dovremo girare molto in studio, scrivere scene più lunghe, con meno passaggi di ambienti e meno persone (niente corse nel traffico e grandi feste). Sono un’autrice di ritmo, nei 50 minuti di una puntata inserisco circa 70 scene. Le storie già scritte allora vanno adattate. Per le nuove servono altri modelli, come Carnage di Polanski», quattro attori in un ambiente (da una piéce teatrale). «Per me che scrivo storie dove più che l’azione contano i sentimenti, sarà più semplice. Lo è meno per serie come ZeroZeroZe­ro o Gomorra ».

Al momento tutti cercano storie. Con il

lockdown le serie sono andate benissimo: «Si cerca l’immaginazi­one, ma anche Doc (con Luca Argentero), ambientata in un ospedale, è stata un grande successo, nonostante la messa in onda nel momento più buio della crisi sanitaria». A Doc, altra produzione Lux, a cui però Bucaccio non ha lavorato, mancava solo una settimana di riprese, poche scene del secondo blocco: «Verranno girate in monacale ritiro, con attori e troupe testati e tenuti per una settimana in un unico luogo, senza contatti esterni». Questo si può fare solo se manca poco alla fine. Per gli altri, nello stallo, il lavoro — non solo quello di scrittura — procede a distanza. «I provini sono fatti su Zoom, e qui si sono trasferite le letture», il momento in cui gli attori, seduti attorno a un tavolo con regista, sceneggiat­ori e capi-reparto, rileggono la sceneggiat­ura, «e scene e dialoghi vengono adattati alle loro risposte». Poi appena si potrà si tornerà sul set. «Sarà interessan­te vedere come il materiale girato prima del virus si amalgamerà con le nuove scene». In una settimana di riprese si realizzano scene che andranno a comporre episodi diversi.

Cosa serve quindi, in questo momento, alla serialità televisiva italiana? «Fantasia, per non vivere il limite come una barriera ma come un ostacolo per saltare più in alto. Questo deve essere il momento della follia, dove non si deve cedere alla tentazione di procedere per sottrazion­e ma trovare nuove strade, nuovi personaggi, nuove storie. La realtà profonda però è che serve riaprire».

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