Corriere della Sera - La Lettura
Negato per le cose pratiche trovava in me il suo buffone
fisicamente, quando aveva una piccola défaillance gli amici più stretti, Paolo Villaggio, Ugo Tognazzi e Luciano Lucignani, lo canzonavano. Era sempre scontento delle sue prestazioni, il contrario di quello che diceva in pubblico: io sono il migliore! Fu sua madre a intuire un talento che lui non sapeva di avere. Io avevo una buona mano per il disegno, venivo dalla grafica, mia madre Juliette Mayniel era attrice ma anche pittrice».
E Vittorio nella praticità manuale...
«...Era negato. In tournée mi chiamò nella sua stanza d’hotel all’alba: vieni, non riesco a fare il caffè, ho messo l’acqua ma non si accende. Tutt'intorno fiammiferi. Era una piastra elettrica...».
Perché lei dice che fu il primo dei moderni dissacratori e non l’ultimo degli interpreti classici?
«Perché recitò Amleto a 30 anni e non in età agé come gli altri attori; perché negli anni Cinquanta realizzò il Teatro Popolare. Con i soldi guadagnati al cinema aveva acquistato a sue spese una grande tenda da 3.500 persone, portando i classici italiani nelle periferie. Rese un grande servizio culturale. Come finì quell’avventura? Fu costretto a vendere il tendone, al Cairo, al mercato dei cammelli».
In che cosa è stato un Mattatore?
«Per la cultura: quando parlava aveva studiato e sapeva le cose. Per la generosità: andava nelle carceri senza farlo sapere e senza flash; aiutò un ragazzo finito sotto un treno a Milano, orfano, poi si drogò, non si dava pace per non essere riuscito a salvarlo. Per la sensibilità, che si vede soprattutto nei suoi ultimi film, quelli che magari non sono capolavori».