Corriere della Sera - La Lettura
Creava cocktail schifosi e quiz folli per noi bambini
J«L’ho perso che avevo vent’anni. Sono stati vent’anni molto intensi. Mi ha avuto a 58 anni, nella fase della vita che potrebbe avere un nonno. Anche il suo carattere, dati i momenti depressivi, si era addolcito. Ho il ricordo di una dolcezza estrema e naturalmente di fasi alterne, quando stava bene tornava a essere il gigante in scena. Ha avuto depressioni non eguali tra loro che corrispondevano a mie età diverse. In tanti anni vissuti insieme, a volte faceva fatica a parlare. E allora, prima di andare a coricarsi, mi lasciava una lettera sul mio letto, almeno quando cominciai a essere grammaticalmente idoneo».
Che lettere erano?
«Dolci, ironiche, o piene di apprensione, di un uomo che sentiva un grande amore per me e un vago senso di colpa rispetto al tempo che passava: non avevamo tutta una vita a disposizione. Diceva una battuta famosa per noi in casa: non ci sono per nessuno, a meno che non chiami Bergman. Solo che era depresso anche lui nell’isola di Fårö. Voleva raccontare il suo malessere nei libri, iniziò le riprese di un film di Marco Risi sulla depressione, ne fece soltanto cinque minuti e lo trasfuse in uno spettacolo teatrale, al primo monologo mentre aveva un momento di smemoratezza e non riusciva più a parlare. Scrisse che sentiva di essersi trasformato da istrione in archivista e ricercatore. Di sicuro ho preso più questo suo secondo lato».
Che cosa succedeva quando lei invitava a casa i suoi amichetti?
«Papà inventava giochi che duravano più giorni, le Olimpiadi culturali. Erano quiz per bambini di 5-6 anni con domande surreali: che cos’è una scolopendra? Dove abita Cossiga? Quanto pesa il pugile Tyson? Alcuni miei amici arrivavano preparatissimi e si divertivano, altri non tornavano più. Di solito si vincevano libri, i bambini tornavano a casa con la Recherche di Proust sotto il braccio».
Fantastico.
«In cucina creava cocktail di vari ingredienti, dovevamo indovinare cosa c’era dentro. Acqua, latte, vino, ketchup, acqua, limone. Una schifezza tremenda. In giardino costruimmo con oggetti di ventura, compreso un cocomero, la scenografia per I sette contro Tebe, buffe riletture delle tragedie greche».
Jacopo, lei ha vissuto la depressione però ha ricordi gioiosi...
«Nei viaggi in auto c’era un gioco in cui io ero campione: papà diceva la lettera di una persona, l’altro ne aggiungeva un’altra pensando al cognome di una persona importante. Il guaio è che riusciva a creare difficoltà non da poco, penso a certi intellettuali slavi, a cognomi con cinque consonanti, al calciatore ungherese Zoltán Czibor. Quando arriva una c e una z, cosa puoi aggiungere?».
Poi c’erano i canti dell’«Inferno»...
«Sì, la Divina Commedia, si divertiva a mettervi amici e colleghi: chi mettiamo nel girone dei lussuriosi?».