Corriere della Sera - La Lettura
MA CHE STRANO POSTO LA CASA
Ecosì anche la casa, l’oggetto più familiare su cui dovremmo contare, è diventata weird, strana, inquietante, fantasmatica, secondo la rideclinazione che di questo comunissimo aggettivo inglese ha dato il grande Mark Fisher recentemente scomparso. Ma non è stato sempre così? E i racconti di fantasmi? E non succedevano strane cose nelle case della tragedia greca? Non in queste proporzioni, non come caso concreto (il problema abitativo mondiale) e insieme come metafora globale (confini irti di fini spinati eppure sempre superabili da soldi, virus, e anche, buoni ultimi, esseri umani disperati), risponde Gianluca Didino, brillante e informatissimo saggista, in Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani (minimum fax, pp. 172, € 15).
Didino parte da sé: un italiano espatriato a Londra, città dove per vivere decentemente occorre almeno il reddito di un petroliere uzbeko. E poi esplora a raggera fatti reali e prodotti dell’imaginario, film, romanzi, canzoni, saggi di ogni ordine e grado. Tutto combacia nel quadro dello «strano». È l’unica cosa su cui siamo tutti d’accordo. Ma non per questo è un luogo comune. Che al mondo ci siano oggi più rifugiati che dopo la Seconda guerra mondiale è un duro fatto. Che la maggior parte non sia da noi ma nel cosiddetto Terzo mondo, eppure qui c’è qualcuno che si sente «invaso» ( haunted, infestato, come si dice delle case stregate), è invece un intreccio tra un altro duro fatto e una storia di fantasmi, che però produce effetti e passioni reali. Tutto intrecciato, tutto impossibile da considerare separatamente, se si vuole capire.
Didino ci riesce con invidiabile lucidità, che lo accompagna (altrimenti che te ne fai?) fino alla soglia di una possibile speranza: aprirsi allo strano, avventurarsi in stato di disponibilità verso territori di cui non esistono ancora mappe. Obbiettivo, il rovesciamento del mondo attuale, nientemeno.
Radicalismo. Bene, in un giovane. Ci manca solo il giovane moderato. Con il dubbio, soltanto, che ogni radicalismo ha fin qui sempre preso avvio distinguendo tra fatti e pseudo-fatti. Forse quello di oggi dovrà essere più duttile, più raffinato. O forse c’è ancora molto lavoro da fare.