Corriere della Sera - La Lettura
Tra i casi più clamorosi il negazionismo sull’Aids dell’ex leader sudafricano Thabo Mbeki, la truffa di Stamina, gli svariati toccasana contro il cancro
umana: la pigrizia. Dividere il mondo in buoni e cattivi, mettersi dalla parte dei buoni e aspettare di essere salvati da qualcuno che, come noi, è buono, ma è più forte. L’eroe, appunto. D’altra parte, chi mai da piccolo voleva fare l’esattore del fisco? In questa eterna adolescenza in cui molti rimangono, siamo condannati alla incapacità di vedere l’ambivalenza e la complessità del mondo reale. E quindi i medici sono i nostri eroi per qualche settimana, ma presto la loro fortuna finirà. E poi, siamo sicuri che abbiano fatto tutto il possibile?
Affidarsi senza riserve a qualcuno e vedere nemici ovunque sono meccanismi simili. Ecco perché è così facile passare dal considerare i virologi come salvatori della patria a volerli picchiare. Certo, a volte anche i virologi hanno la responsabilità di essere vanitosi, confusi, mitomani. Cassandre e indovini bonari. O sono inconsapevoli dell’effetto delle loro parole che avviano una reazione collerica o un meccanismo infinito di spiegazioni, risposte furiose, spiegazioni delle spiegazioni. «Non c’è pericolo». «È solo un’influenza» (e tutti dimenticano che le influenze sono spesso mortali e che è grazie alla medicina occidentale che possiamo dire solo). «Passerà tra un mese». «Il virus è morto clinicamente». «Non è morto clinicamente, però è attenuato». «Usiamo gli antiretrovirali». «Usiamo il farmaco contro la malaria».
Il bisogno di essere rassicurati, che porta alla semplificazione esasperata di una realtà complessa, reagisce male quando gli esperti sembrano meno esperti di nostra zia. E questa inettitudine — a volte esagerata, a volte falsa, a volte vera — alimenta la convinzione che il governo o la medicina occidentale siano pericolosi. Il nemico invisibile può essere il 5G che favorisce la diffusione del Covid-19, Bill Gates che inocula organismi geneticamente modificati ai bambini o la tecnodittatura (in fondo il luddismo ci sta sempre bene).
In genere il complottismo è da scartare, perché non è facile pianificare e mettere in atto una congiura. Ma c’è una cosa che rende tutto ancora più complicato: può essere vera. Se non proprio una cospirazione, qualcosa di simile. Come quando le industrie di tabacco hanno intenzionalmente nascosto gli effetti delle sigarette sulla salute. O quando il presidente del Sudafrica Thabo Mbeki ha ignorato l’Aids con una raffinata strategia populista. Usando un linguaggio oscuro e complicato — aggiungendo così il fascino nefasto di un Jacques Lacan della politica — Mbeki ha mescolato il più stupido orgoglio nazionalista alla paura di essere sfruttati dall’Occidente. I populismi che vengono meglio sono quelli che contengono elementi verosimili o veri. E così la segregazione e il razzismo sono usati insieme alle assurde credenze che l’Aids non è poi così grave, che l’Hiv non lo causa, che non servono complessi farmaci mandati dallo sfruttatore occidentale, ma basta un po’ di aglio con patate. Chi dice il contrario è un razzista. Questo è un altro elemento spesso presente: il ricatto moralista. Chiunque mi contraddice su qualcosa, mi sta attaccando come persona, come nero, come africano. E dunque ha torto perché vuole perpetuare l’abuso e lo sfruttamento del popolo africano. Ci sono meccanismi affascinanti in questa logica in cui gli argomenti si confondono e la critica è considerata un’aggressione politica. Affascinanti e mortali. Il costo del negazionismo di Mbeki è di oltre 300 mila persone morte tra il 2000 e il 2005.
La fallacia che meglio incarna il populismo sanitario è probabilmente: «Meglio fare qualcosa che niente». E se il motivo è comprensibile, la necessità di trovare una risposta ad ogni costo è pericolosa. Invece la dimostrazione più divertente del complotto-Covid è l’uso di una frase del libro Spillover (letta come un oscuro presagio a posteriori e non come una razionale previsione) quale prova della cospirazione. L’autore David Quammen nota che alcuni ipotizzano un disastro sanitario in arrivo. E prosegue: «Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale?». Lo vedete, lo sapeva! Ovviamente a nulla serve far notare che è una ipotesi molto ragionevole per chi studia le pandemie da anni. Forse se avessero letto tutto il libro, non solo quella frase...
I dubbi e le paure sono legittimi: di chi possiamo fidarci? La risposta, purtroppo, non è facile. Soprattutto se quello che stiamo davvero chiedendo è: a chi possiamo credere senza incertezze e senza quella sgradevole sensazione di provvisorietà? In questo caso l’unica risposta appropriata sarebbe: a nessuno. Perché la risposta più corretta viene da un mondo che è necessariamente incerto — ma questo non significa che sia una palude o un’arena dove tutti possono partecipare senza conoscere le regole. Proprio come non si può partecipare a nessun gioco senza rispettare le regole e, se ti cacciano, non è che stanno violando la tua libertà di espressione o i tuoi diritti fondamentali. È che non esiste gioco senza regole. Come non esiste la possibilità di capirsi, se ognuno usa la semantica che vuole, e quindi io scrivo «casa» intendendo un posto con dei muri dove vivo e tu intendi un essere animato che parla ai delfini. Definire «casa» non è facile e i confini possono subire cambiamenti (posso chiamarla «casa» anche se i muri sono pareti di compensato?), ma il punto è che abbiamo bisogno di alcune premesse, altrimenti io parlo della mia cucina e tu pensi alla foresta vergine in Amazzonia.
Il populismo sanitario prospera quando dalla medicina ci si aspetta qualcosa che non può darci. Proprio come quando abbiamo a che fare con un fedifrago, siamo destinati a essere delusi e a cercare consolazione nei posti più sbagliati. Chi non sa bene che cos’è la scienza, si aspetta risposte definitive. E se non puoi fidarti come faresti con un oroscopo, la delusione spesso impedisce di capire che è proprio quella incertezza a rendere la scienza il modo migliore per conoscere il mondo. Perché non è apodittica come un comandamento e non è indifferente al mondo reale come un dogma, ma formula ipotesi, controlla le inferenze e cerca — o almeno dovrebbe — tutti i possibili modi per smentirsi...
Forse il primo antidoto al populismo è resistere all’intuizione di fidarci solo di quello che è certo, perché spesso è una bugia. Non è sempre facile distinguere la sana incertezza dalla confusione totale. E non è facile nemmeno evitare fraintendimenti: la medicina non è incerta su tutto, perché è ovvio che alcuni avanzamenti sono dovuti proprio al fatto che abbiamo capito come funzionano molte patologie e come rimediare. Ma ha un carattere incerto che ha a che fare con le ipotesi e con le inferenze abduttive. E nel caso dell’attuale pandemia non si può che essere incerti su una patologia che non conosciamo. Questo è uno spiraglio fondamentale per i populisti: se la medicina è incerta, come e perché dovremmo fidarci?
I più pericolosi sono quelli che sembrano degni della nostra fiducia. Come il microbiologo francese Didier Raoult, che presenta l’idrossiclorochina come il toccasana per il Covid-19. Eroe o ciarlatano? Un perfetto esempio di populismo è Stamina. Davide Vannoni ha incarnato il ciarlatano mascherato da salvatore del mondo e venerato come tale. C’è tutto: il salvatore, il complotto di Big Pharma che ostacola l’eroe per interessi economici, le cure compassionevoli (cioè, curiamo perché noi sia