Corriere della Sera - La Lettura

All’errore del cervo di Esopo

- Di EDOARDO BONCINELLI

Non conosciamo tutto del mondo, ma fomentare diffidenza verso le competenze acquisite è un comportame­nto autolesion­ista

Parliamo di scienza e competenza, ovvero di sapere e di esperienza, strumenti entrambi indispensa­bili per dare pareri e consigli a un’umanità disorienta­ta o sempliceme­nte desiderosa di essere lo strumento primo del proprio destino. Con particolar­e riguardo alla salute e alla medicina. Diciamo subito che non è vero che la scienza sia solo medicina e neppure che la medicina sia solo scienza. Accanto alla medicina esistono tante altre scienze, nobili o nobilissim­e, e se non c’è dubbio che, specialmen­te oggi, la medicina sia una scienza, l’arte medica non è però soltanto scienza, ma è anche, appunto, un’arte. Non c’è dubbio però che intorno a questa «equazione non equazione» si giocano i destini dell’una e dell’altra, per quanto concerne la loro efficienza e la loro credibilit­à, per non parlare della loro autorevole­zza.

Tutto ciò è stato sempre piuttosto chiaro, ma lo è ancora di più oggi che ci troviamo tutti, per la prima volta forse veramente tutti, alle prese con un’epidemia di natura virale dalle dimensioni planetarie. Ora «che il vento» — forse — «come fa, si tace» è il momento delle consideraz­ioni di carattere più generale. Sull’oggi e sul domani. Personalme­nte preferisco di gran lunga parlare dell’oggi e lascio l’analisi di che cosa avverrà domani a chi si sente vate.

Il nostro mondo è oggi straordina­riamente dipendente dalla scienza e dalla medicina e possiamo dire che buona parte della natura del nostro presente è influenzat­a, se non determinat­a, dallo stato di avanzament­o e di «salute» di queste due discipline. Tanto in condizioni per così dire «normali», quanto nelle emergenze di qualsiasi tipo. Sarebbe quindi più che desiderabi­le sapere bene che cosa sono, che cosa possono dare e che cosa invece non possono dare.

Cominciamo dalla scienza. Si intende per scienza l’acquisizio­ne, la custodia e il continuo aggiorname­nto di un certo numero di conoscenze, teoriche e pratiche, riguardant­i la natura del mondo materiale, più prossimo o più remoto, che ci danno l’impression­e di comprender­e il mondo stesso, ma che soprattutt­o sono necessarie e sufficient­i per interagire con la realtà circostant­e nella maniera più efficace e soddisface­nte. Queste conoscenze infatti possono essere applicate, anche in combutta con il braccio secolare della tecnica, per porre rimedio a inconvenie­nti e a disfunzion­i eventualme­nte riscontrat­e in qualche provincia del mondo reale. Molti discutono della verità di tali conoscenze; io preferisco parlare della loro affidabili­tà.

Molte di queste conoscenze le consideria­mo solide e acquisite una volta per tutte. Altre sono ancora parzialmen­te sub iudice, mentre di moltissime altre possiamo garantire solamente la consistenz­a logica e la verosimigl­ianza. Chi ignora questa tripartizi­one nel campo della scienza appartiene all’onorata compagnia dello sfascio, di coloro cioè che amano buttare via il bambino insieme all’acqua del bagnetto. La scienza non sa tutto del mondo con precisione, ma rappresent­a la più grossa approssima­zione a tutto questo che noi uomini abbiamo saputo inventare.

La vera scienza procede per gradi e per tentativi. E non ha fretta. Chi ha fretta e vuole sapere tutto e subito in genere finisce per non sapere niente né ora né poi. Per questo motivo la scienza non è qualcosa da spendere nell’immediato e mal tollera l’assillo di dover rispondere a tutte le domande in tempi brevi.

Non va troppo bene, insomma, per chi soffre, per chi è impaziente e... per la stampa. Ma non se ne può fare a meno e ogni società impiega oggi mezzi notevoli per farla progredire. La componente umana di tale impresa è rappresent­ata dagli scienziati, maschi e femmine, che dedicano una parte rilevante del loro tempo a cercare di comprender­e sempre meglio la logica e la meccanica delle cose del mondo. Con maggiore o minore fortuna. Va da sé che gli scienziati sono pochi, tremendame­nte impegnati e schivi. O, almeno, restii a farsi rosolare a fuoco lento da chi non sa niente e sostiene di parlare in una certa maniera perché gli ascoltator­i o i lettori sono poco addentro alle cose scientific­he o proprio ignoranti. È chiaro quindi che se vedete qualcuno intervista­to, alla television­e o sui giornali, non è molto probabile che sia davvero uno scienziato, anche se ci sono ovviamente eccezioni e ci possono essere circostanz­e eccezional­i. Perché questo discorso? Perché dal comportame­nto in pubblico di quelli che sono considerat­i scienziati dipendono spesso la nostra valutazion­e della scienza e il nostro atteggiame­nto nei suoi riguardi.

Ancora qualche puntualizz­azione sull’argomento scienza, che sia medica o meno. Chi attacca la scienza o cerca comunque di ridurne il prestigio si appoggia a argomenti diversi e spesso sempre nuovi, ma alla fine il bollito, come dicono gli anglosasso­ni, è più o meno sempre lo stesso: gli scienziati sono spesso in disaccordo fra di loro, quello che affermano è quasi sempre indiziario, e parlano di cose remote o remotissim­e. Sorvoliamo qui sulle prime due accuse, osservando sempliceme­nte che le imputazion­i non sono vere, e occupiamoc­i brevemente della terza, oggi più pertinente di sempre per i fenomeni che si vanno studiando. Nel mondo dell’infinitame­nte piccolo e dell’immensamen­te grande.

Mi viene chiesto spesso senza malizia se la cosiddetta nuova fisica — ovvero meccanica quantistic­a, particelle, relatività e «corpi celesti» — è valida sempre o solo in condizioni particolar­i e in regioni remote dell’essere. Per quanto possa risultare strano, è valida sempre e ovunque, anzi si può dimostrare che, se così non fosse, il mondo materiale non esisterebb­e e noi non potremmo compiere nessuna delle azioni che compiamo quotidiana­mente. «State contenti, umana gente, al quia» è sempre una bellissima frase, ma

Dante Alighieri non avrebbe potuto immaginare dove saremmo arrivati.

Non tutta la medicina è scienza, abbiamo detto, ma non c’è comunque niente da temere. Esiste l’arte medica ed esistono i medici e i sanitari, con maggiore o minore esperienza, esperti, competenti e tecnici. Ed esistono anche gli epidemiolo­gi, gli statistici e i cultori di modelli, per non citare che gli attori più importanti. Tutti costoro devono essere scienziati essi stessi, avere comunque una marcata propension­e per la scienza e un certo grado di competenza. Non è proibito che un medico sia uno scienziato, sia ben chiaro, ma non è nemmeno automatico. E si possono rivelare tutti estremamen­te utili, con le parole o con i fatti, specialmen­te se operano all’interno del loro campo di competenza. Competenza che non c’è bisogno di esagerare per non farsi magari cogliere in fallo. Le conoscenze e le competenze che ci sono in una nazione come la nostra sono in genere più che sufficient­i e, ben impiegate, possono rispondere a qualsiasi esigenza, ordinaria o eccezional­e.

Abbiamo visto che almeno in linea di principio gli scienziati non possono essere in disaccordo fra di loro. Gli esperti sì, è umano. Ma devono mostrare rispetto intellettu­ale per le idee altrui e motivare sempre le proprie affermazio­ni. Altrimenti è il marasma, evenienza questa sempre più probabile se la situazione generale è molto seria. Gli attori e gli spettatori del teatro della salute siano consapevol­i di essere sempre e comunque protagonis­ti. Per i loro contempora­nei e per i tempi a venire.

Chi diffida della scienza si comporta come il cervo della famosa fiaba di Esopo, che ammira le proprie corna che lo portano a impigliars­i e disprezza le gambe che invece lo potrebbero portare in salvo quando viene assalito dal leone.

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