Corriere della Sera - La Lettura

Tra figli e figliastri spunta il configlio

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

Ai giardinett­i del Pincio, a Roma, un nugolo di bambini seguiva il vecchio signore che trascinava un pony un po’ malandato: «Nonnetto, facci fare un giro!». Espressi a voce alta la mia invidia per tutti quei bambini che condividev­ano la fortuna di avere un nonno proprietar­io del cavallo. La mia vecchia zia sorrise: non era mica il loro nonno, era solo un modo di chiamare le persone anziane.

Io peraltro ero suo nipote, ma lei non era proprio mia zia. Mia prozia, piuttosto, essendo sorella di mio nonno paterno; per il quale ero pur sempre un nipote, dato che l’italiano non distingue tra nipote di nonni e di zii. Per specificar­e il primo ci sarebbe un’antica parola, usata ormai solo come aggettivo riguardo a questioni di eredità: abiatico, dal latino aviaticus, connesso con avus «avo».

Anche zio, d’altra parte, può essere un generico allocutivo d’affetto: da lì deriva il «Bella zio!» in voga come saluto tra i giovani. A mia figlia che chiedeva delucidazi­oni su chi — tra i tanti che con lei chiamavamo zii — lo era veramente, cosa avremmo dovuto rispondere? Forse che era per loro una specie di nipote acquisita: una nipotastra, volendo usare il suffisso marcatore di acquisizio­ne. Ma lei avrebbe subito pensato alle perfide sorellastr­e di Cenerentol­a o, nel migliore dei casi, a Paperone che chiama Paperino nipotastro; parola peraltro assonante con impiastro, proprio come matrigna e patrigno evocano nelle favole qualcosa di maligno. Oggi per fortuna nessuno parla più di figliastri e anche in relazione alla cosiddetta stepchild adoption, l’adozione dei figli del partner, l’Accademia della Crusca ha proposto il neologismo configlio.

Più difficile superare lo stigma che l’atavico familismo ha lasciato nella nostra lingua in forma, appunto, di fastidiosi -ismi: il secolare nepotismo (nato in ambito ecclesiast­ico) o il più recente nonnismo (in ambito militare) o il proverbial­e mammismo.

Non il papismo, che riguarda il papa e non il papà; a meno che non lo si voglia ricondurre all’appellativ­o papi salito qualche anno fa all’onore delle cronache.

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