Corriere della Sera - La Lettura

La segregazio­ne esiste (anche per noi asiatici)

- Di VIVIANA MAZZA

Milwaukee è una delle città più segregate d’America. Era ambientato qui il telefilm Happy Days, in cui tutti sono bianchi, i neri non esistono e c’è un unico personaggi­o asioameric­ano, il proprietar­io del diner Arnold Takahashi, un pioniere ma anche una caricatura. È a Milwaukee, nello Stato del Wisconsin, che ci porta il romanzo Scusate il disturbo (66thand2nd) di Patty Yumi Cottrell, vincitrice del Whiting Award, un premio dedicato alle giovani promesse della scrittura. La protagonis­ta Helen Moran, 32 anni, single, senza figli, ha lasciato Milwaukee per Manhattan, dove lavora come sorveglian­te di ragazzi problemati­ci. La notizia del suicidio del fratello adottivo la spinge a tornare. Entrambi sono nati in Corea del Sud, non hanno legami di sangue, sono stati adottati da una coppia bianca cattolica del Midwest, con una grande casa buia e una «pidocchios­a» abitudine al risparmio.

Il Midwest e il razzismo: se nel 2020 Minneapoli­s è esplosa per George Floyd, nell’agosto 2016 Milwaukee si è infiammata per Sylville Smith, diciannove­nne nero con porto d’armi ucciso dalla polizia per aver rifiutato di deporre la pistola. Tre mesi dopo, il Wisconsin è stato decisivo per la vittoria di Donald Trump alle presidenzi­ali: Milwaukee, a differenza delle campagne dello Stato, vota democratic­o, ma l’astensioni­smo dei giovani e delle minoranze aiutò Trump. È qui che il Partito democratic­o ha deciso di tenere ad agosto la convention, che a causa della pandemia potrebbe diventare «virtuale».

Com’è crescere a Milwaukee? E perché ha deciso di ambientarv­i il libro?

«Continua a essere una città segregata. Io sono cresciuta in una delle periferie residenzia­li più bianche di Milwaukee. I ragazzi asiatici a scuola si contavano sulle dita di una mano. Pochi scrittori l’hanno scelta per un libro, l’ho fatto sempliceme­nte per questo e poi perché volevo scrivere sull’essere asiatici nel Midwest, un’esperienza diversa dal Sud o altrove. Una volta ho visto un gruppo di impiegati statali portar via delle bellissime oche da un parco perché erano viste come un disturbo: escrementi dappertutt­o, la gente nel Midwest suburbano vuole essere a suo agio, non vuole imbattersi nella cacca d’uccelli o sentirne l’odore. Credo che alcuni, nelle zone residenzia­li, la pensino allo stesso modo sulle questioni razziali. Non vogliono vederle o pensarci, è più facile restare nella loro bolla, guidando auto gigantesch­e avanti e indietro. Ma evitarle è deleterio. Comunque, ho molti amici che sono rimasti a Milwaukee: lavorano per migliorare la città con gallerie come Green Gallery e librerie come Woodland Pattern: comprate i loro libri».

Le persone vengono spesso classifica­te in base a razza, religione, orientamen­to sessuale e identità di genere, ma

«Non sono un’esperta di cambiament­i generazion­ali ma direi che le questioni identitari­e stanno cambiando. Come docente universita­ria, osservo quanto i miei studenti investano nel dialogo su identità, linguaggio e potere. Vogliono discutere in classe del rapporto tra razza, brutalità della polizia e incarceraz­ioni di massa, per esempio. Tanti di loro si identifica­no come trans, persone non binarie (che rifiutano la distinzion­e netta tra maschile e femminile ndr), queer o asessuali. Ho volutament­e evitato che Helen rientrasse in una particolar­e categoria. Sono sospettosa delle categorie che offrono una scelta o l’altra. Le trovo limitanti, costrittiv­e».

Helen e il fratello da bambini volevano essere bianchi. Le difficoltà che hanno con l’identità dipendono dalla famiglia, dall’adozione, dalla società?

«Hanno difficoltà perché sono intrappola­ti in uno stato intermedio, eppure è precisamen­te da questo che deriva il loro potere. Sono ambigui, confondono le persone che li circondano. Sperimenta

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