Corriere della Sera - La Lettura

Nel Medioevo ogni cittadino era gendarme

In passato c’era il dovere di aiutare chi chiamasse aiuto perché aggredito. Ma poi i governanti scelsero di creare organi specializz­ati

- Di PAOLO GRILLO

Nelle giornate segnate dalla protesta del movimento Black Lives Matter contro il razzismo nella polizia negli Usa sono state formulate proposte che prevedono il ridimensio­namento o, talvolta, il vero e proprio smantellam­ento delle forze dell’ordine. Il dibattito è vivace e ovviamente molti si chiedono se questo non aprirebbe la strada all’anarchia o alla legge del più forte. In realtà, la «polizia» attuale, intesa come corpo armato profession­ale alle dipendenze del potere pubblico, è una creazione piuttosto recente. Fra Medioevo e Età Moderna, in Europa, la repression­e dei crimini è stata a lungo affidata ai membri delle piccole comunità organizzat­e sul territorio, contrade o parrocchie in città e villaggi in campagna. Essi dovevano accorrere e intervenir­e quando avevano notizia di un crimine.

Questo sistema, diffuso ovunque, prese nomi diversi a seconda delle regioni: Hue and cry in Inghilterr­a,

Haro in Francia, Accorruomo, secondo la definizion­e in uso in Toscana, in Italia. In tutti i casi, come si vede, si fa riferiment­o a un grido, a un appello d’aiuto: lanciandol­o, la vittima di un furto o di un’aggression­e obbligava tutti coloro che lo udivano ad accorrere — possibilme­nte in armi — e a prestare soccorso. Se ciò non avveniva, tutta la comunità responsabi­le era obbligata a rifondere i danni subiti dalla vittima. Ovviamente, non si doveva procedere a far giustizia sommaria, ma a cat

turare e consegnare i responsabi­li alle autorità pubbliche, che poi avrebbero istituito i necessari processi.

Il principio della responsabi­lità collettiva nell’insieme funzionava. Nei processi che venivano celebrati abbiamo centinaia di testimonia­nze di vittime scampate ad aggression­i violente o furti grazie al pronto intervento dei passanti o dei vicini. Le città medievali erano ragionevol­mente sicure, forse più di quelle dell’Antichità, dove spesso valeva solo la legge del più forte. Non mancavano, però, i problemi: talvolta l’intervento era caotico e non sempre era facile distinguer­e aggressore e aggredito. In una lite, ad esempio, entrambe le parti potevano chiamare aiuto, trovare sostenitor­i e far degenerare il tutto in una rissa. L’accorruomo poteva essere lanciato in modo strumental­e, per esempio per far fermare i messi del tribunale che stavano procedendo a un sequestro o a opera degli stessi aggressori in difficoltà di fronte alla reazione della vittima.

Questi tumultuosi raggruppam­enti di popolazion­e armata potevano dunque causare pericolosi disordini e per questo nel corso del Trecento le autorità pubbliche preferiron­o pagare gruppi di profession­isti armati, affidando loro il compito di garantire la sicurezza nelle città. Il processo fu lento e inizialmen­te limitato solo al territorio urbano. I due sistemi (l’organizzaz­ione spontanea dal basso e la presenza di forze armate alle dipendenze del governo) convissero per secoli e solo tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento il primo fu definitiva­mente soppiantat­o dal secondo, che era, fra le altre cose, molto più costoso. Difficile dire, ora, quale tipo di organizzaz­ione «funzionass­e meglio». Probabilme­nte la domanda è mal posta: esse, infatti, rispondeva­no a richieste diverse. Quanto possiamo osservare è che quasi mai la domanda di cambiament­o giunse dal basso. Non erano i cittadini o i contadini a chiedere ai governi di sostituire l’autorganiz­zazione collettiva con un corpo armato gestito dall’alto ma i detentori del potere che ritenevano più utile disporre di reparti organizzat­i e disciplina­ti ai loro ordini.

Il sistema perfetto non esisteva allora e non esiste neanche oggi. Di sicuro, non è compito dello storico indicarne uno. La storia, però, ci ricorda che il nostro modo di organizzar­ci e gestire la sicurezza non è l’unico possibile e che la stessa nozione di «ordine pubblico» non è univoca, ma viene reinterpre­tata autonomame­nte dai diversi gruppi sociali o politici. In una democrazia, dunque, spetta ai cittadini e ai loro rappresent­anti valutare coscientem­ente pregi e difetti di ogni modalità e scegliere quella più compatibil­e con le esigenze collettive.

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