Corriere della Sera - La Lettura
Nel Medioevo ogni cittadino era gendarme
In passato c’era il dovere di aiutare chi chiamasse aiuto perché aggredito. Ma poi i governanti scelsero di creare organi specializzati
Nelle giornate segnate dalla protesta del movimento Black Lives Matter contro il razzismo nella polizia negli Usa sono state formulate proposte che prevedono il ridimensionamento o, talvolta, il vero e proprio smantellamento delle forze dell’ordine. Il dibattito è vivace e ovviamente molti si chiedono se questo non aprirebbe la strada all’anarchia o alla legge del più forte. In realtà, la «polizia» attuale, intesa come corpo armato professionale alle dipendenze del potere pubblico, è una creazione piuttosto recente. Fra Medioevo e Età Moderna, in Europa, la repressione dei crimini è stata a lungo affidata ai membri delle piccole comunità organizzate sul territorio, contrade o parrocchie in città e villaggi in campagna. Essi dovevano accorrere e intervenire quando avevano notizia di un crimine.
Questo sistema, diffuso ovunque, prese nomi diversi a seconda delle regioni: Hue and cry in Inghilterra,
Haro in Francia, Accorruomo, secondo la definizione in uso in Toscana, in Italia. In tutti i casi, come si vede, si fa riferimento a un grido, a un appello d’aiuto: lanciandolo, la vittima di un furto o di un’aggressione obbligava tutti coloro che lo udivano ad accorrere — possibilmente in armi — e a prestare soccorso. Se ciò non avveniva, tutta la comunità responsabile era obbligata a rifondere i danni subiti dalla vittima. Ovviamente, non si doveva procedere a far giustizia sommaria, ma a cat
turare e consegnare i responsabili alle autorità pubbliche, che poi avrebbero istituito i necessari processi.
Il principio della responsabilità collettiva nell’insieme funzionava. Nei processi che venivano celebrati abbiamo centinaia di testimonianze di vittime scampate ad aggressioni violente o furti grazie al pronto intervento dei passanti o dei vicini. Le città medievali erano ragionevolmente sicure, forse più di quelle dell’Antichità, dove spesso valeva solo la legge del più forte. Non mancavano, però, i problemi: talvolta l’intervento era caotico e non sempre era facile distinguere aggressore e aggredito. In una lite, ad esempio, entrambe le parti potevano chiamare aiuto, trovare sostenitori e far degenerare il tutto in una rissa. L’accorruomo poteva essere lanciato in modo strumentale, per esempio per far fermare i messi del tribunale che stavano procedendo a un sequestro o a opera degli stessi aggressori in difficoltà di fronte alla reazione della vittima.
Questi tumultuosi raggruppamenti di popolazione armata potevano dunque causare pericolosi disordini e per questo nel corso del Trecento le autorità pubbliche preferirono pagare gruppi di professionisti armati, affidando loro il compito di garantire la sicurezza nelle città. Il processo fu lento e inizialmente limitato solo al territorio urbano. I due sistemi (l’organizzazione spontanea dal basso e la presenza di forze armate alle dipendenze del governo) convissero per secoli e solo tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento il primo fu definitivamente soppiantato dal secondo, che era, fra le altre cose, molto più costoso. Difficile dire, ora, quale tipo di organizzazione «funzionasse meglio». Probabilmente la domanda è mal posta: esse, infatti, rispondevano a richieste diverse. Quanto possiamo osservare è che quasi mai la domanda di cambiamento giunse dal basso. Non erano i cittadini o i contadini a chiedere ai governi di sostituire l’autorganizzazione collettiva con un corpo armato gestito dall’alto ma i detentori del potere che ritenevano più utile disporre di reparti organizzati e disciplinati ai loro ordini.
Il sistema perfetto non esisteva allora e non esiste neanche oggi. Di sicuro, non è compito dello storico indicarne uno. La storia, però, ci ricorda che il nostro modo di organizzarci e gestire la sicurezza non è l’unico possibile e che la stessa nozione di «ordine pubblico» non è univoca, ma viene reinterpretata autonomamente dai diversi gruppi sociali o politici. In una democrazia, dunque, spetta ai cittadini e ai loro rappresentanti valutare coscientemente pregi e difetti di ogni modalità e scegliere quella più compatibile con le esigenze collettive.