Corriere della Sera - La Lettura
L’Italia e le Fiandre culle della rinascita
La ripresa anche demografica dopo il Mille non ricalca il modello dell’Impero romano. Prevalgono diversità e creatività, a partire da due regioni europee
Apartire dall’XI secolo, dopo secoli di declino quasi inarrestabile, le città dell’Occidente europeo ripresero vita e modificarono in positivo il loro trend. Però, con una pelle mutata: non furono più espressione della riproducibilità dell’Impero romano, dove ogni città era una sorta di clone che ricalcava le forme della capitale, Roma. Ora, in questa nuova fase, ciò che conta di più è la forte spinta creativa e autonoma che scaturisce dal basso, con un’evoluzione impetuosa e repentina.
Le città crescono infatti in maniera accelerata, in parallelo con il forte boom demografico che esplode dopo il Mille. Diventano la meta privilegiata di movimenti consistenti di popolazione che innescano forti processi di urbanizzazione. Si formano costellazioni urbane, che seguono le diverse orografie dei territori, le coste, i principali assi viari di comunicazione tra nord e sud, i percorsi fluviali di raccordo tra mare e zone interne. Non tutte le città sono uguali, però. C’erano, per esempio, quelle di origine antica, in via di rinnovamento. Oppure grossi villaggi, aperti o chiusi, che insistevano intorno a un castello o a un monastero. O ancora città costruite ex novo, borghi franchi, villenove che in Italia nascono spesso sotto la spinta dei Comuni già esistenti o, altrove, nel resto d’Europa, su impulso di sedi vescovili o di grandi signori feudali.
Ci troviamo di fronte cittadine che ricostruiscono dal nulla le proprie mura o riattano quelle che c’erano, con opere edilizie che coinvolgono intere comunità e che fanno delle cinte e delle porte l’emblema della propria diversità, simbolo della rinnovata vita urbana. Dei microcosmi solo in apparenza condizionati dalla tradizione, in particolare romana, mentre nei fatti ogni città appare totalmente svincolata da essa, con una capacità di sperimentazione inedita tanto nel campo politico, istituzionale e normativo quanto in ambito sociale e dell’azione economica.
Non si tratta però mai di grandi agglomerati, anzi le città sono piuttosto piccole, con dimensioni assai distanti da quelle dei centri musulmani o cinesi dell’epoca: alla fine del Duecento, nel momento di massimo slancio demografico, non sono più di sessanta quelle che superano i 10 mila abitanti, una decina forse i 40-50 mila (oltre a Parigi e Gand, le altre sembrano tutte italiane, tra cui Milano, Firenze, Genova, Venezia, Napoli, Palermo). Due sono i maggiori poli di attrazione. Innanzitutto, l’Italia. La proliferazione delle città è piuttosto uniforme, compreso il Mezzogiorno in cui, in età normanna e poi sveva, sia le città tirreniche (come Napoli) sia quelle adriatiche, tra cui la pugliese Barletta, crescono in maniera costante; sebbene la città principale resti la capitale del Regno di Sicilia, Palermo. Ma è l’Italia centro-settentrionale a vivere la crescita più imponente,