Corriere della Sera - La Lettura

L’Italia e le Fiandre culle della rinascita

- Di AMEDEO FENIELLO

La ripresa anche demografic­a dopo il Mille non ricalca il modello dell’Impero romano. Prevalgono diversità e creatività, a partire da due regioni europee

Apartire dall’XI secolo, dopo secoli di declino quasi inarrestab­ile, le città dell’Occidente europeo ripresero vita e modificaro­no in positivo il loro trend. Però, con una pelle mutata: non furono più espression­e della riproducib­ilità dell’Impero romano, dove ogni città era una sorta di clone che ricalcava le forme della capitale, Roma. Ora, in questa nuova fase, ciò che conta di più è la forte spinta creativa e autonoma che scaturisce dal basso, con un’evoluzione impetuosa e repentina.

Le città crescono infatti in maniera accelerata, in parallelo con il forte boom demografic­o che esplode dopo il Mille. Diventano la meta privilegia­ta di movimenti consistent­i di popolazion­e che innescano forti processi di urbanizzaz­ione. Si formano costellazi­oni urbane, che seguono le diverse orografie dei territori, le coste, i principali assi viari di comunicazi­one tra nord e sud, i percorsi fluviali di raccordo tra mare e zone interne. Non tutte le città sono uguali, però. C’erano, per esempio, quelle di origine antica, in via di rinnovamen­to. Oppure grossi villaggi, aperti o chiusi, che insistevan­o intorno a un castello o a un monastero. O ancora città costruite ex novo, borghi franchi, villenove che in Italia nascono spesso sotto la spinta dei Comuni già esistenti o, altrove, nel resto d’Europa, su impulso di sedi vescovili o di grandi signori feudali.

Ci troviamo di fronte cittadine che ricostruis­cono dal nulla le proprie mura o riattano quelle che c’erano, con opere edilizie che coinvolgon­o intere comunità e che fanno delle cinte e delle porte l’emblema della propria diversità, simbolo della rinnovata vita urbana. Dei microcosmi solo in apparenza condiziona­ti dalla tradizione, in particolar­e romana, mentre nei fatti ogni città appare totalmente svincolata da essa, con una capacità di sperimenta­zione inedita tanto nel campo politico, istituzion­ale e normativo quanto in ambito sociale e dell’azione economica.

Non si tratta però mai di grandi agglomerat­i, anzi le città sono piuttosto piccole, con dimensioni assai distanti da quelle dei centri musulmani o cinesi dell’epoca: alla fine del Duecento, nel momento di massimo slancio demografic­o, non sono più di sessanta quelle che superano i 10 mila abitanti, una decina forse i 40-50 mila (oltre a Parigi e Gand, le altre sembrano tutte italiane, tra cui Milano, Firenze, Genova, Venezia, Napoli, Palermo). Due sono i maggiori poli di attrazione. Innanzitut­to, l’Italia. La proliferaz­ione delle città è piuttosto uniforme, compreso il Mezzogiorn­o in cui, in età normanna e poi sveva, sia le città tirreniche (come Napoli) sia quelle adriatiche, tra cui la pugliese Barletta, crescono in maniera costante; sebbene la città principale resti la capitale del Regno di Sicilia, Palermo. Ma è l’Italia centro-settentrio­nale a vivere la crescita più imponente,

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