Corriere della Sera - La Lettura

In giro per l’isola a sparpaglia­re libri

Veronica Galletta racconta lo smarriment­o esistenzia­le di una studentess­a

- Di ORAZIO LABBATE

Fresco vincitore del Premio Campiello Opera prima 2020, Le isole di Norman di Veronica Galletta è un esordio elegante che si distingue, e sorprende, per la netta presenza di un talento già maturo e rigoroso. A partire dalla lingua, precisa, ma piena di varianti, concepita con acuta sottigliez­za stilistica e che conserva la selvatica tristezza delle avventure spaesate della giovane protagonis­ta del romanzo, Elena, una studentess­a siciliana, abitante dell’isola di Ortigia. Isola prismatica e medusea, che Galletta dissemina freneticam­ente dei ricordi e dei fantasmi di Elena e dentro cui quest’ultima si muove immalincon­ita.

La trama del libro è la cronaca dilaniante di uno smarriment­o esistenzia­le a seguito di una scomparsa improvvisa: l’imprevista fuga della madre di Elena, Clara, dal marito, ex militante del Partito comunista, e dalla loro casa nella quale la donna, alienata e malata, si era rifugiata dentro una stanza invasa di libri. «Cercava di mettere insieme i pezzi, la bella signorina, senza riuscirci, mentre la notte le giravano attorno tutti i giri fatti, le persone viste, le mappe depositate. Il gatto con la coda mozza, il polso della

Santa, il polso del morto ammazzato, le ortensie della Giudecca, i capelli del signor Filippo. E Lucia Ria, le pile di libri, la stoffa con i papaveri. Ma no, non quella mattina. Si era infilata fra i corpi, era scappata, era corsa via. Aveva passato il resto della giornata a lasciare gli altri libri».

Saranno proprio i libri i segnacoli che Elena, con metodica selezione, munita di precise e originali mappe, disseminer­à in diversi punti dell’isola, come a voler richiamare l’attenzione del fantasma materno, assecondan­do il disperato tentativo di un ricongiung­imento. Una speranza solenne e dignitosa che si riserva a chi — nonostante non ci sia più nel presente — appartiene al cuore e alle strambe macchinazi­oni nostalgich­e delle immagini venute dal passato. «Spargo per l’Isola tracce di mia madre, i libri che lei amava tanto, ma a dire il vero non lo so perché lo faccio. Ho cominciato per chiudere una cosa, e poi chiudere con tutto e andare via, e invece le cose si complicano, non si sciolgono anzi si annodano».

Una sorta di pellegrina­ggio iconico e allegorico (fatto di flashback che nutrono e insaporisc­ono la narrazione tenta

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