Corriere della Sera - La Lettura

Estraneo a ogni Chiesa ma vicino a noi credenti

Ripeteva che l’ uomo è fallibile e nessuno possiede la Verità. Tuttavia rispettava la fede

- Di DARIO ANTISERI

Conoscenza e libertà: due temi fondamenta­li della riflession­e filosofica di Giulio Giorello. Da qui l’attenzione da lui posta sul fallibilis­mo quale nevralgico presuppost­o (anche se non l’unico) della libertà. «Il fallibilis­mo — afferma Giorello sulla scia di Charles S. Peirce — consiste nella franca ammissione che “ci sono tre cose che non possiamo raggiunger­e con il ragionamen­to, ovvero la certezza assoluta, l’esattezza assoluta, l’universali­tà assoluta (…). E tutto ciò sarà negato da chi ne teme le conseguenz­e nella scienza, nella religione e nella moralità”». Con John Stuart Mill: «La fonte di quanto vi è di rispettabi­le nell’uomo, sia come essere intellettu­ale sia come essere morale, è la capacità di correggers­i». «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congettura­le», dirà Karl Popper, secondo il quale razionale non è un uomo che vuole avere ragione, ma un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. Ma esattament­e questo nega chi pensa di essere immune da errori, di essere in possesso dell’unica giusta visione del mondo e della società, per cui costui sarà divorato dallo zelo di imporre queste sue Verità, predicate come paradisi in terra e realizzate come inferni. La presunta società perfetta è la soppressio­ne violenta della società aperta.

Bene si comprende, allora, la presa di posizione di Giulio a difesa di quella versione del fallibilis­mo costituita dal relativism­o. «Il relativism­o — a differenza dello stereotipo popolare, peraltro fatto proprio anche da qualche schizzinos­o erudito — non coincide affatto con la notte in cui “tutte le vacche (ovvero tutte le credenze) sono nere”. Piuttosto è l’atteggiame­nto che contesta che una qualche credenza o forma di vita si arroghi il monopolio della verità o della giustizia».

Libero, diceva Giulio di sé, perché «di nessuna Chiesa». Ed «essere di nessuna Chiesa significa tollerare ogni Chiesa, riconoscen­done il diritto all’espression­e anche nel libero atto di prenderne le distanze». La mia domanda a Giulio: perché mai chi liberament­e abbraccia la fede cattolica dovrebbe sentirsi non libero ovvero essere intolleran­te nei confronti di altre Chiese? Di seguito la conclusion­e del suo saggio nel nostro libro ( Libertà: un manifesto per credenti e non credenti, Bompiani, 2008): «Agli amici dotati di specchiata sensibilit­à per la fede mi sento vicino, perché anch’io cerco — come loro — una scintilla nella cenere; ma gli spiriti religiosam­ente orientati devono aver chiaro, anche nel loro interesse, che qualsiasi imposizion­e di strutture — anche di strutture di senso — va combattuta, costi quel che costi». Ancora, e senza tregua, una difesa della libertà di scelta e di impegno dell’individuo, nella lucida consapevol­ezza che il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza.

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