Corriere della Sera - La Lettura

La sua apertura mentale era sempre spiazzante

Avevamo in comune alcune simpatie e parecchie avversioni. Fu un difensore della razionalit­à

- Di EDOARDO BONCINELLI

Una delle prime volte che lo incontrai, ebbi a dire a Giulio Giorello che non avevo grande simpatia per le cosiddette domande ultime, di cui vanno tanto fieri i filosofi. Lui mi rispose: «Sarà come dici tu, però non possiamo fare a meno di porcele». E io: «È vero, ma bisogna saper resistere alla tentazione di rispondere. Tanto non troveremmo nessuna risposta seria e saremmo costretti a inventarce­la». Mi aspettavo che si arrabbiass­e, ma la prese abbastanza bene. Mi sorrise con compatimen­to, come faceva spesso, specialmen­te quando indulgevo in sciocchi (per lui) giochi di parole.

Cominciò così la nostra amicizia, che è poi cresciuta viaggiando spesso sui binari di una sorta di patto di non aggression­e. Il nostro è stato un bel sodalizio, che ci ha portati a scrivere alcuni libri a quattro mani su argomenti abbastanza diversi. Ora per esempio mi ha lasciato alle prese con la revisione di un piccolo libro sui punti di forza e sulle debolezze dell’idea di democrazia oggi. Qualche settimana fa ne avevamo concluso la registrazi­one magnetica di una prima stesura. Adesso avremmo dovuto riprendere il tutto e dargli una verniciata finale. Ma lui non c’è più, e tutto il peso, concettual­e e materiale, dell’operazione ricadrà su di me. Soprattutt­o consideran­do che il libro sarà criticato da più parti, e non ci sarà qualcuno a fianco a me che risponderà con la sua, di Giulio, preparazio­ne e autorevole­zza. E soprattutt­o con il suo straordina­rio senso della storia. Ma non è possibile perdere qualcuno senza perdere qualcosa. Specialmen­te se questo qualcuno ha la statura intellettu­ale e culturale di Giulio.

Mi sono chiesto spesso che cosa ci tenesse in sostanzial­e consonanza, nonostante fossimo persone così diverse e che le nostre vite si fossero dipanate in due maniere tanto differenti. Avevamo in comune alcune simpatie intellettu­ali, per esempio una grande consideraz­ione della ricerca scientific­a e della matematica, ma anche della grande letteratur­a, e soprattutt­o certe avversioni. Per la politica avulsa dalla cultura, per la ringhiosa chiusura dei diversi specialism­i, per la superficia­lità e il conformism­o sciatto, per la seriosità e il sussiego, per l’apriorismo irragionev­olmente ostinato, per la cocciutagg­ine spacciata per coerenza, per la supina adesione a un credo e a una parrocchia; per tutto ciò, insomma, che si subisce senza farlo proprio, ritenendo magari di trarne vantaggio.

Che cosa mi mancherà di più di Giulio? Innanzitut­to il coraggio, il coraggio di prendere di petto qualsiasi tema; poi l’apertura mentale, folgorante e spiazzante; ma anche il rifiuto dell’abiura della razionalit­à, lo spettro che si aggira oggi nella testa di molti; per non parlare della tendenza a semplifica­re invece che ad arruffare le matasse; e infine l’assenza della paura di vincere, che attanaglia e zavorra tanti intellettu­ali italiani.

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