Corriere della Sera - La Lettura
La sua apertura mentale era sempre spiazzante
Avevamo in comune alcune simpatie e parecchie avversioni. Fu un difensore della razionalità
Una delle prime volte che lo incontrai, ebbi a dire a Giulio Giorello che non avevo grande simpatia per le cosiddette domande ultime, di cui vanno tanto fieri i filosofi. Lui mi rispose: «Sarà come dici tu, però non possiamo fare a meno di porcele». E io: «È vero, ma bisogna saper resistere alla tentazione di rispondere. Tanto non troveremmo nessuna risposta seria e saremmo costretti a inventarcela». Mi aspettavo che si arrabbiasse, ma la prese abbastanza bene. Mi sorrise con compatimento, come faceva spesso, specialmente quando indulgevo in sciocchi (per lui) giochi di parole.
Cominciò così la nostra amicizia, che è poi cresciuta viaggiando spesso sui binari di una sorta di patto di non aggressione. Il nostro è stato un bel sodalizio, che ci ha portati a scrivere alcuni libri a quattro mani su argomenti abbastanza diversi. Ora per esempio mi ha lasciato alle prese con la revisione di un piccolo libro sui punti di forza e sulle debolezze dell’idea di democrazia oggi. Qualche settimana fa ne avevamo concluso la registrazione magnetica di una prima stesura. Adesso avremmo dovuto riprendere il tutto e dargli una verniciata finale. Ma lui non c’è più, e tutto il peso, concettuale e materiale, dell’operazione ricadrà su di me. Soprattutto considerando che il libro sarà criticato da più parti, e non ci sarà qualcuno a fianco a me che risponderà con la sua, di Giulio, preparazione e autorevolezza. E soprattutto con il suo straordinario senso della storia. Ma non è possibile perdere qualcuno senza perdere qualcosa. Specialmente se questo qualcuno ha la statura intellettuale e culturale di Giulio.
Mi sono chiesto spesso che cosa ci tenesse in sostanziale consonanza, nonostante fossimo persone così diverse e che le nostre vite si fossero dipanate in due maniere tanto differenti. Avevamo in comune alcune simpatie intellettuali, per esempio una grande considerazione della ricerca scientifica e della matematica, ma anche della grande letteratura, e soprattutto certe avversioni. Per la politica avulsa dalla cultura, per la ringhiosa chiusura dei diversi specialismi, per la superficialità e il conformismo sciatto, per la seriosità e il sussiego, per l’apriorismo irragionevolmente ostinato, per la cocciutaggine spacciata per coerenza, per la supina adesione a un credo e a una parrocchia; per tutto ciò, insomma, che si subisce senza farlo proprio, ritenendo magari di trarne vantaggio.
Che cosa mi mancherà di più di Giulio? Innanzitutto il coraggio, il coraggio di prendere di petto qualsiasi tema; poi l’apertura mentale, folgorante e spiazzante; ma anche il rifiuto dell’abiura della razionalità, lo spettro che si aggira oggi nella testa di molti; per non parlare della tendenza a semplificare invece che ad arruffare le matasse; e infine l’assenza della paura di vincere, che attanaglia e zavorra tanti intellettuali italiani.