Corriere della Sera - La Lettura
La sua tavola per i paperi: «archimedepitagorica»
Rinunciò a un impegno con il sindaco per venire con noi in osteria. E parlando di Disney disegnò...
Giulio non resisteva mai al richiamo di una bevuta con gli amici. Vino o birra, e soprattutto chiacchiere. Con lui, mai banali. Mai prevedibili. A un certo punto, arrivava sempre uno spunto, anche soltanto una parola, che apriva una strada lunga, magari tortuosa, ma affascinante. Ti portava con sé in un viaggio, fatto di riflessioni, ricordi, teorie e fantasie.
Una volta l’avevo chiamato all’ultimo momento. Era già pomeriggio. Gli avevo chiesto se gli andava di unirsi a me e a due miei compari, per lui perfetti sconosciuti, in un’osteria in Bovisa, quella sera. Gli avevo spiegato che il posto era «un ex circolo anarchico» e che quei due erano «tipi interessanti». Parole magiche, per Giulio. «Non so, non potrei», mi aveva risposto sulle prime. «Avrei un impegno. C’è anche il sindaco». Non stiamo a specificare quale sindaco fosse, all’epoca. Ma mi sembrava ovvio che Giulio sarebbe andato lì. Ubi maior. E invece, quella sera, si presentò da noi. Con stupore mio e dei due amici, il professor Giulio Giorello si materializzò nell’osteria, muovendosi con quella sua strampalata grazia, degna di Paperoga. «Ma hai bidonato il sindaco?» gli chiesi. Giulio fece un vago gesto nell’aria, spiegando che comunque il primo cittadino non sarebbe stato da solo, per poi snocciolare una serie di nomi grossi e grossissimi. A cui aveva preferito una serata in Bovisa.
Al primo giro di bicchieri, stavamo già parlando di fumetti, argomento che Giulio amava moltissimo. La nostra amicizia era nata da lì. Non so come, si arrivò a considerare il fatto che i personaggi disneyani (Topolino, Paperino, Zio Paperone...) hanno quattro dita per mano. «Chissà come fanno a contare,» disse qualcuno di noi, scherzosamente. E Giulio prese la cosa molto sul serio. Tirò fuori una penna, cominciando a macchiarsi d’inchiostro (perché era fatto così), e si mise a progettare un sistema matematico su base otto. Lo assecondai, con un certo fervore. Provai a stare al suo passo. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20... e così via. E arrivammo a costruire una tavola pitagorica (cioè, «archimedepitagorica») e un metodo per fare i quattro calcoli principali. Il tutto su tovagliette di carta che, a pensarci oggi, avrei dovuto portarmi a casa e appendere in soggiorno.
Giulio Giorello riusciva ad abbattere le barriere fra scienza e fantasia. La sua era una cultura multidimensionale. Umanistica e scientifica, classica e rivoluzionaria, rigorosa e divertente. Segno di un’apertura mentale straordinaria, geniale. Per inciso, due giorni dopo mi telefonò per spiegarmi come ci fossero già state, nella storia della matematica, varie teorizzazioni di calcolo su basi diverse da dieci. Doveva essersele andate a cercare e studiare tutte, magari dando buca a qualche altro importante impegno.