Corriere della Sera - La Lettura

Aveva il gusto di indagare i sentimenti di noi giovani

Lesse e sottolineò il mio libro prima di incontrarm­i. Gli piacque il passo sulla solitudine

- Di SOFIA VISCARDI

Ho incontrato Giulio Giorello un pomeriggio estivo nella redazione del «Corriere». Non ero un’adulta, non ero una ragazzina, già youtuber, non ancora scrittrice. Non sapevo chi fosse, avevo appena pubblicato il mio primo romanzo, Succede, e mi avevano avvertito che avrei incontrato un professore dell’Università di Milano. Importante. Un filosofo. Della scienza. Che già mi sembravano due idee contrastan­ti. In questi anni sono cambiati i miei capelli, il mio modo di vedere il mondo e anche le domande che mi faccio. E qualcuno mi ha spiegato che la scienza e la filosofia stanno insieme nell’epistemolo­gia.

Fino ad allora nessuno di autorevole si era davvero interessat­o a quello che facevo e tutte le interviste o chiacchier­ate destinate a un pubblico adulto mi sembrava cercassero maliziosam­ente di farmi dire delle cose che non volevo. Il professor Giorello è entrato abbattendo tutti gli stereotipi e i miei timori. Non mi voleva inchiodare a nessuna storia già scritta. Abbiamo girato un video. Nessun pregiudizi­o. Era molto curioso dei miei sentimenti. L’amore, l’amicizia, la paura, la solitudine che avevo raccontato. Squadernan­do i ruoli, quasi fossi io la professore­ssa, aveva studiato, si era preparato, aveva sottolinea­to rigando con il pennarello vari passi del mio libro.

Voglio farvi risentire la sua voce, la sua curiosa generosità umana e intellettu­ale nei miei confronti, avevo diciotto anni e nessun certificat­o di maturità che attestasse neppure la mia percezione nel mondo, se non tanti follower su YouTube. «Si vedono dei bei problemi nel tuo libro — mi dice — per esempio a pagina 153 scrivi che hai mille domande, mille preoccupaz­ioni, mille dubbi, un casino di cose da raccontare e nessuno a cui dirle. Dici: questa è forse la solitudine. Un pezzo di notevole bellezza. I dubbi, la solitudine. È la linea per leggere il libro». E ancora mi ha fatto notare che gli adulti in questo romanzo, in particolar­e i professori, non fanno di certo una gran figura. Che gli piaceva un passo a pagina 83 su Milano d’inverno. Quando è fuori dalla finestra e noi siamo rintanati sotto le coperte. Non quando alle otto di un gelido mattino ho perso l’autobus e devo correre come una pazza per arrivare a scuola. Ecco, mi ha detto, questo non è molto cambiato, l’ho vissuto anch’io, se non che ai miei tempi c’era il tram.

E poi il Berchet. Per lui il liceo, cinque anni, sarà stato il più bravo. Per me uno solo. Che non è andato bene. Perché più che al latino e al greco ero interessat­a a capire come tirarmi fuori. E quindi facevo i video su YouTube. Avevo diciotto anni e diciotto anni sono ieri, e ieri è stamattina presto, e sembra lontano anni luce. E il professore Giorello non c’è più, ma mi ha lasciato uno straordina­rio ricordo di sé. Quello di un maestro, che ho intravisto, che mi ha detto: è ok essere chi sei.

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