Corriere della Sera - La Lettura
La fata- nonna rinuncia ai poteri (ma scordatevi la morale)
Una favola, il nuovo romanzo di Tiziano Scarpa, La penultima magia. «Una favola nera?», chiederà subito l’arguto lettore. «Mmm…, no, non direi proprio una favola nera». «Ma non è lo Scarpa dei Cannibali?». «Non era nell’antologia Gioventù cannibale. Mi consta anzi che l’etichetta gli stesse parecchio sull’anima». «Non faccia il precisino. Ci sarà comunque un bel po’ di perturbante…». «No no, nessun perturbante. Perché lo volete ficcare a tutti i costi dovunque?». «Guardi che sta parlando con me, e poi noi lettori abbiamo dei diritti, alla fine chi paga il conto qui?». «Gliene siamo grati. Ma insomma, la fa lei o la faccio io questa recensione?». «Uh che permaloso, ma certo, tocca a sua maestà il critico, vadi, vadi…». «Semmai vada ». «Anche ignorante, citavo Fantozzi, manco le basi…».«Senta, lei…».
Oh, s’è azzittato, finalmente, anche se mi ha mangiato un sacco di righe e costretto ad anticipare le conclusioni. Una favola, comunque, questo romanzo lo è dall’inizio alla fine. Basti pensare che comincia con una città, Solinga, in cui una fata ha reso animati tutti gli oggetti inanimati, per di più di indole amichevole servizievole e saggia. Ma gli ex abitanti, sindaco e segretario comunale in testa, trovano che faccia schifo, la rivogliono come prima, la cannoneggiano e soprattutto ricattano la Fata Renata: o la pianta o non le ridaranno in custodia la nipotina Agata, orfana dei genitori, con la forza della legge e della carta bollata. Per amore di Agata, Renata accetta, la città torna «normale», e la nipote va a vivere da lei, d’ora in poi solo Nonna Renata, che per di più dovrà reimparare tutto, dalle tabelline a come si cuoce un uovo, e sottoporsi a regolari controlli psichiatrici. E se non fosse una fata ma una vecchia svampita? Esitazione, prima regola del Fantastico (questo per il puntiglioso lettore di prima). E tutto andrebbe a meraviglia, se non fosse Agata a mostrarsi strana a sua volta con episodi di sonnambulismo in cui invoca una certa Barbara di cui Renata non riesce a ricostruire nulla, né all’anagrafe né dai ricordi della bambina. Agata non si dà pace, e il rapporto con la nonna si incrina perché lei non le crede. Niente da fare, tocca andare a cercarla. Vari indizi portano a pensare che dovranno recarsi sul monte Massiccio, dove non va mai nessuno per paura dei suoi fulmini. Finita la scuola, attrezzate per un lungo weekend in montagna, le due partono non prima di essersi imbattute nella carovana dei Riparatori, dediti ad aggiustare le cose che gli umani gettano. L’ascesa al monte si configura come il classico viaggio iniziatico, zeppo di prove, di enigmi e di incontri. Di nuovo in pieno fiabesco, certi eventi sono troppo strani per essere «naturali». O forse no. Forse sul monte troveranno un’allegoria, ma realissima, vividissima, scritta come tutto il romanzo in lingua tersissima, rinunciando a tal fine Scarpa al suo consueto funambolismo verbale, del fatto che l’unica cosa strana è che gli umani abbiano cominciato a chiamare magia — dandole la caccia prima col fuoco e poi con gli psichiatri — il loro essersi estraniati dalla natura. C’è il messaggio? Se così fosse il romanzo sarebbe fatica sprecata. Una ricomposizione tra i due regni, o meglio ancora il mostrare che sono in realtà uno solo, è una degnità con cui da tempo ci torturano i fricchettoni. Si direbbe piuttosto che Scarpa abbia preso una delle metanarrazioni del nostro tempo (finirà male se non vi comportate bene con le bestie e le piante!) e ci abbia ricamato sopra, saggiandone le possibilità immaginative.
La penultima magia la si può leggere tranquillamente a un bambino. Ma ha le carte per stupire un adulto. La sua norma più ferrea è tutta nell’implausibilità, come di chi si giovi per suo piacere di tutta l’irresponsabilità di storie che sognano improbabili ricongiungimenti, e insieme le critichi segnalandone l’ingenuità. Operazione sofisticata, e perfettamente riuscita. Nessuna morale, nessuna conversione del presunto cannibale, caro lettore di prima. «Guardi che noi lettori non siamo tutti cretini come pensa lei». «Non l’ho mai pensato. Su, qua la mano, facciamo pace e ringraziamo Scarpa».