Corriere della Sera - La Lettura

Il figlio di minatori che fa l’avvocato smaschera assassini

- Di MARCO BRUNA

era uno sbandato, hooligan incallito, vagabondo e perdigiorn­o: è diventato uno dei penalisti più importanti del Regno Unito. Più o meno come

sua creatura letteraria. «Veniamo entrambi dalla classe operaia, ma lui è una versione migliore di me. Anche se a volte mi sento come Elliot: inadatto»

La sentenza più amara arriva a meno di cinquanta pagine dalla fine del romanzo di Gary Bell, quando il caso di omicidio non è ancora risolto: «È raro che in aula, in prigione o persino dopo venga scoperta tutta la verità. A volte il cliente è scagionato, altre volte no, ma le nostre vite vanno avanti in ogni caso». La sentenza viene emessa dall’avvocato penalista Elliot Rook, protagonis­ta de Il prezzo della verità, legal thriller scritto da Bell insieme con lo chef e scrittore Scott Kershaw (Mondadori). Rook lavora per il prestigios­o studio legale londinese Miller & Stubbs. È incaricato di difendere un presunto assassino, l’estremista di destra e suo vecchio conoscente Billy Barber, accusato di avere picchiato e strangolat­o un’adolescent­e di origini mediorient­ali la notte del 14 aprile, Venerdì Santo, a Cotgrave, paese di campagna nella contea del Nottingham­shire.

Cotgrave è il mondo della classe operaia inglese, il «vanto dell’industria mineraria». Quando è stata chiusa la miniera di carbone, attiva dai primi anni Sessanta all’inizio dei Novanta, qui vivevano le famiglie di 1.500 minatori, tra cui quella dell’ex hooligan divorziato Elliot Rook, trapiantat­o in aperta campagna dai quartieri urbani più malfamati. Prima di diventare avvocato e di raggiunger­e la carica onorifica di Queen’s Counsel (QC), conferita dalla Corona, l’outsider Rook è stato minatore e senzatetto. Non può fare a meno delle sigarette e della bottiglia, come un personaggi­o del maestro della suspense Graham Greene — «Riportami al mio whisky. Quello è il mio sacramento», è la battuta memorabile di una delle creazioni letterarie di Greene.

«Anch’io, come Elliot Rook, sono figlio di un minatore — racconta Gary Bell (1959) a “la Lettura” —. La mia carriera scolastica è stata pessima. Ho perso tutti i lavori che ho avuto perché non ero in grado di portarne a termine neanche uno. Ho resistito in miniera due settimane, nel 1976. Ho paura del buio. Ero un teppista e mi piaceva bere. Per qualche anno sono stato un hooligan. Ancora oggi sono un grande tifoso del Nottingham Forest, come Rook. Negli anni Settanta sono stato in prigione per frode. Dopo qualche brutta esperienza con la legge ho deciso di viaggiare per l’Europa. Vivevo alla giornata. Sono stato in Francia, in Spagna, in Svizzera e in Olanda. Ho passato in Italia soltanto un giorno, nel 1979, a Ventimigli­a: mi hanno espulso perché ero un vagabondo. Sono tornato in Inghilterr­a quando mia madre si è ammalata di cancro e ho deciso di iscrivermi all’Università di Bristol. Avevo poco più di vent’anni. Dormivo in strada, non sapevo se sarei diventato un avvocato per via dei guai con la giustizia. Ma tutti hanno diritproce­sso che mescolano cronaca e finzione. Nel libro trovano spazio l’universo feroce dell’estrema destra inglese, quello torbido della prostituzi­one e della polizia violenta, le ferite della questione nordirland­ese e il grande risentimen­to verso gli immigrati, una delle spinte decisive della Brexit. «Il libro è ambientato nel 2017, l’anno dopo il voto per l’uscita dall’Unione Europea. Sono tuttora amareggiat­o per quel risultato. Forse chi ha votato per il Leave pensava che l’Inghilterr­a fosse ancora un impero. Il mio Paese è attraversa­to dall’intolleran­za, soprattutt­o verso l’islam. Il populismo è una debolezza della democrazia: negli Stati Uniti si sono ritrovati con il più grande idiota mai eletto alla Casa Bianca».

Continua l’autore: «Elliot Rook è un impostore, ma anche una versione migliore di Gary Bell. Non perde mai una causa. All’inizio volevo che avesse un aspetto attraente ma l’editore non era d’accordo, diceva che una storia con protagonis­ta un legale di bell’aspetto non avrebbe funzionato. Rook è trasandato e fuori forma, come lo scrittore che l’ha creato. Ho dato a questo personaggi­o le mie esperienze, gli ho dato il mio passato, condividia­mo lo stesso luogo di nascita, Nottingham. È più facile scrivere di qualcosa che conosci bene piuttosto che partite da zero. Rook accettereb­be qualsiasi caso e farebbe di tutto per vincerlo. Spera che la giustizia prevalga sempre».

I l prezzo del l a verità s i mu o ve con agilità per oltre trecento pagine grazie a un preciso congegno narrativo, che fa leva sul colpo di scena (l’identità dell’assassino cambia due volte nella parte finale), su una dose calcolata di humour («Gli avvocati sono come i golfisti. L’unico tiro che conta è il prossimo») e sul profondo legame profession­ale tra Rook, il narratore della storia, e la sua assistente Zara Barnes, praticante ventiquatt­renne di origini mediorient­ali, cruciale per la soluzione del caso.

Se due vecchi amici e autori bestseller come John Grisham e Scott Turow — intervista­ti da Andrea Purgatori su «la Lettura» #447 del 21 giugno —, ritengono che la ricetta per un buon legal thriller

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