Corriere della Sera - La Lettura
Il thriller è un po’ horror La logica non ha logica
di formazione ingegnere informatico, scrive gialli in cui le storie s’incastrano l’una nell’altra. Questa volta parte da una psicologa narcolettica e arriva a una di carbone. In mezzo ci sono un narratore che perde la ragione e persino un capitolo mancante (ma vengono dati gli indizi per trovarlo)
non esista, c’è tuttavia, sostiene Bell con una certa ironia, un’idea alla base di tutte le storie processuali. «Per scrivere un legal thriller ci sono due elementi imprescindibili: un caso da risolvere e un avvocato. Quando ho letto Il momento di uccidere di Grisham ero disorientato. Ci sono differenze sostanziali tra il sistema legale britannico e quello americano, riflesse anche dalla letteratura. I tribunali americani sono più informali. Quelli inglesi sono caratterizzati da un clima austero: non abbiamo persone che si aggirano per l’aula durante il dibattimento. In America c’è una procedura diversa, chiamata Jury Vetting: il tribunale sceglie i giurati attraverso un colloquio, prima che inizi il processo. La nostra selezione è più imparziale». Un gigante della spy story come John le Carré — il cui romanzo più recente, La spia corre sul campo (Mondadori, 2019), si svolge nel Regno Unito post Brexit del 2018 — in sessant’anni non ha mai ambientato un libro negli Stati Uniti.
Oggi Gary Bell si gode il successo. Ha tre figli maschi e, insieme alla moglie, si divide tra Londra e la casa di campagna. Conduce un programma televisivo, The Legalizer, sulla Bbc, e ha pubblicato un memoir. Anche lui è Queen’s Counsel, tra gli avvocati più famosi del regno. Il prossimo gennaio uscirà in Inghilterra la seconda avventura di Elliot Rook, le cui bozze sono già nelle mani dell’editore. «Durante il lockdown ho riletto una delle mie opere preferite, il Decameron di Boccaccio. L’altro libro di cui non posso fare a meno è Il buio oltre la siepe di Harper Lee». Il passato è un ricordo doloroso: la madre è morta a 40 anni, prima che suo figlio riuscisse a riscattare una vita di stenti; il padre è scomparso nel nulla 45 anni fa: «Un giorno è uscito di casa e non l’ho più visto, diceva che sarebbe stato via per il weekend».
Il protagonista de Il prezzo della verità è un uomo a cui è rimasto in bocca il sapore amaro di una vita segnata da un matrimonio fallito e da un’inconsolabile nostalgia. Elliot Rook, il figlio della classe operaia di Nottingham, è l’avvocato che indossa la toga di seta dopo essersi sporcato le mani in miniera. «A volte mi sento come lui», conclude Bell. «Inadatto a questa vita».
Gli appassionati di thriller sanno delle insidie che si nascondono dietro questa etichetta. I temi sono stati spremuti all’osso, i serial killer più improbabili hanno colpito e sono stati eliminati da commissari di varie nazionalità con un passato oscuro e una personalità segnata. In molti casi, a differenziare una storia dall’altra rimangono solo i nomi dei luoghi — svedesi, statunitensi, italiani — e le stranezze del protagonista, perché lo svolgimento dell’indagine e i colpi di scena sembrano fatti con lo stampino.
Con Franck Thilliez questo non accade mai, perché l’autore di Annecy (ingegnere informatico, che sta acquisendo notorietà anche per aver «previsto» il Covid con il romanzo Pandemia, Fleuve, 2015, non ancora tradotto in italiano) fa di tutto per allargare e torcere i confini del genere. Si era capito con Il manoscritto pubblicato un anno fa, e si capisce ancor di più ora con Il sogno, uscito per Fazi.
Ne Il sogno, la protagonista Abigaël, psicologa e profiler per la polizia francese, soffre di narcolessia e cataplessia. Ha invincibili attacchi di sonno che la costringono a brevi pisolini durante il giorno e talvolta sull’onda di forti emozioni crolla a terra incapace di muoversi. Da bambina le andava peggio, perché gli attacchi erano più violenti e le causavano numerosi incidenti, con fratture e cicatrici che hanno reso il suo corpo un campo di battaglia. Per esempio, una volta è caduta su un tubo che le ha perforato il collo, e adesso ha una sorta di occhio cicatriziale impresso sulla gola.
Abigaël prende dei farmaci per tenere sotto controllo i sintomi, ma da quando in un incidente automobilistico ha perso il padre, ex poliziotto di frontiera in pensione, e sua figlia Lea, le cose sono peggiorate. Soffre di amnesie, ha incubi orrendi e fatica a distinguere il sonno dalla veglia. Il che è un problema perché si sta occupando con i gendarmi francesi di Freddy (come Freddy Krueger il mostro dei film), un rapitore seriale.
Freddy ha annunciato il progetto di far sparire per sempre quattro bambini, ed è già arrivato al numero tre. Ogni volta che rapisce un bambino, lascia un pupazzo con gli abiti e i capelli della vittima precedente al suo posto.
Per rimanere ancorata alla realtà, Abigaël ha escogitato una serie di trucchi: il principale è farsi del male. Bruciature di sigarette, punture di ago, scritte incise sul corpo. Se sente dolore, se vede il sangue, significa che è sveglia. Ma esserne certa è sempre più difficile. A volte trova nella realtà tracce di ciò che ha sognato, a volte l’uomo cui sta dando la caccia sembra conoscere i suoi incubi. Persino il suo incidente comincia ad assumere toni surreali. Ha davvero visto un uomo bestia sul ciglio della strada? Perché è tormentata dalla stessa canzone che ha sentito prima dello schianto? E perché le sembra che sia connesso alla sua indagine?
Come avrete già capito da queste poche righe, Thilliez è un frullatore. Agli elementi del giallo aggiunge fette di cultura pop: horror anni Ottanta, i tatuaggi di Memento, il senso di spaesamento alla Inception… perché quello che Thilliez vuole è soprattutto spaventarsi mentre scrive e appassionare i lettori, a qualsiasi costo. È un gioco scoperto, il suo.
Sa che il pubblico conosce tutti i trucchi già noti, e lui gliene propone di nuovi, alza l’asticella. Soprattutto ne Il sogno, dove seguendo il progressivo disgregarsi della psiche della protagonista, o quantomeno della sua presa sulla realtà, i capitoli del romanzo sono disposti in modo non cronologico secondo una logica che i lettori dovranno scoprire. La storia di Abigaël e Freddy dura sei mesi, e ha come estremi da una parte l’incidente, e dall’altra l’incendio di una miniera di carbone che non si capisce come siano connessi.
Come se non bastasse — e qui mi sembra di sentire la risata divertita dell’autore — non tutti i capitoli sono presenti nel libro: uno manca. O, quantomeno, è nascosto, ma ci sono indizi nel romanzo per ritrovarlo. Così come sono nascosti indizi fondamentali e codici da decifrare.
Difficile raccontare più di così, ma è doveroso aggiungere che, ancora una volta dopo Il manoscritto, c’è un romanzo nel romanzo che ha importanza per la soluzione. È quello di un autore che ha perso la ragione, si è automutilato e ora comunica solo attraverso disegni inquietanti. Ma perché? Come ha fatto Freddy a costringerlo? Quale rapporto lega lo scrittore ai rapimenti e le vittime tra loro? Domande cui potremo rispondere solo nelle ultime pagine, unendo i puntini.
Ora, dalla mia descrizione potreste pensare che questo sia un romanzo per pochi eletti, ma Thilliez non dimentica mai che chi legge i suoi romanzi lo fa per divertirsi, e tra un salto temporale e un’autopsia, fa in modo di non lasciarti mai confuso. Fornisce anche una timeline per collocare ogni capitolo, con un’elegante goccia di sangue nero per indicare dove ci troviamo.
Forse.
In Francia, Il sogno ha venduto più di quattrocentomila copie: è un vero piacere scoprire che il divertimento intelligente ha ancora un mercato.