Corriere della Sera - La Lettura
L’epidemia della menzogna
Già anni fa, io e gran parte dei miei colleghi avevamo previsto che prima o poi sarebbe scoppiata una pandemia come quella di coronavirus. Personalmente, ritenevo che sarebbe stata un’influenza aviaria o suina. In questo momento sembra che in Asia si stia diffondendo un nuovo e pericoloso tipo di influenza suina. In Clean immagino un virus diverso, derivato da una ricerca medica sfuggita di mano, un virus che blocca l’accesso alla memoria. Alcuni dettagli sono frutto della mia immaginazione, ma tutto ciò che accade nel libro è verosimile».
Come cambiano i ritmi del thriller quando il «cattivo» è un virus che si diffonde a velocità vertiginosa?
«I virus sono frammenti di Rna o Dna. Non hanno movente. Non sono loro i cattivi. I cattivi di questo libro sono le persone che approfittano della catastrofe per esercitare potere sugli altri e coloro che vogliono sfruttare le povere vittime di amnesia per ricostruire una nuova società secondo ideali perversi».
Perché gli Usa come fulcro iniziale del contagio?
«Nel romanzo descrivo un viaggio del protagonista, Jamie Abbot, un neurologo di Boston. A un certo punto, Jamie scopre metà della cura e deve portarla a Indianapolis, dove vive Mandy Alexander, una sua amica virologa, che ha l’altra metà. Ho vissuto sia a Boston sia a Indianapolis e ho lavorato nel Maryland. È stato naturale ambientare il libro in luoghi familiari».
Come sei riuscito a inserire temi a volte ostici come i principi di genetica, epidemiologia e funzionamento della memoria in un romanzo?
«È sempre difficile trovare il giusto equilibrio tra le informazioni necessarie e un eccesso di tecnicismo che farebbe addormentare il lettore. Sono cresciuto leggendo Michael Crichton, che non si è mai tirato indietro quando si trattava di fornire al pubblico dettagli tecnico-scientifici. È stato il mio modello. In questo caso, credo di aver trovato un buon compromesso: chiarito il contesto, lascio spazio allo sviluppo dell’azione».
Hai detto di avere iniziato a lavorare a questo romanzo prima dell’esplosione del Covid-19. Perciò, da dove nasce l’idea di scrivere su una pandemia?
«Per me il punto è sempre stato quando sarebbe scoppiata la prossima pandemia, non se. Anche tre anni fa non c’era bisogno di essere Nostradamus per farsi venire un’idea del genere. La pandemia di influenza suina del 2009 è stata un campanello d’allarme. Il mondo l’ha sentito, ma poi è tornato a dormire. Negli Stati Uniti, il piano per affrontare future pandemie voluto da Obama è stato stupidamente smantellato dall’amministrazione