Corriere della Sera - La Lettura
Dimenticate il #MeToo La nigeriana è un’assassina
L’autrice stessa lo ha detto senza troppi giri di parole. «Dieci anni fa questo libro non sarebbe stato accettato». Due sorelle, una schiva, schematica. L’altra bella e capricciosa. Korede pulisce il sangue ed escogita trucchi per occultare i corpi, Ayoola uccide i suoi fidanzati. Tra personaggi tratteggiati da pennellate leggere, capitoli brevi quasi come drammaturgie teatrali, o come stories di Instagram, la giovane Oyinkan Braithwaite con Mia sorella è una serial killer (La nave di Teseo) porta il lettore in una Lagos inesplorata. Niente a che vedere con La metà di un sole giallo di Chimamanda Ngozi Adichie (Einaudi), il cui filo rosso è la guerra del Biafra, o con il caos politico che fa da sfondo a Resta con me di Ayòbámi Adébáyò (La nave di Teseo).
I fucili non sparano, la fame e la miseria non si fanno mai vive tra le pagine, nessuno viene massacrato, a parte gli ignari fidanzati di Ayoola. Al centro della scena invece ci sono i rapporti familiari, gli equilibri di potere tra le due sorelle — Ayoola minaccia di uccidere anche il giovane dottorino di cui Korede è innamorata —, gli ingorghi nel traffico, le manopole delle radio che girano e la costante corsa per nascondere i cadaveri che la bella Ayoola lascia dietro di sé dopo aver trafitto i corpi degli amanti con un coltello ereditato dal padre.
Classe 1988, al suo romanzo d’esordio, con ironia e determinazione, Braithwaite si conquista sul campo il diritto di rappresentare una nuova generazione di autori africani, fin qui emersi e riconosciuti solo in chiave post-coloniale. È la scrittura a muovere questa autrice più che l’analisi. Un’infanzia e un’adolescenza tra la Nigeria e la Gran Bretagna, maggiore di tre fratelli come la protagonista del romanzo, si trasferisce a Londra prima di iniziare la scuola elementare, per poi tornare a Lagos dopo la nascita del fratello nel 2001. Di nuovo nel Regno Unito frequenta la sesta classe in un collegio nello Shropshire, quindi studia legge e scrittura creativa presso la Surrey University e la Kingston University prima di rivolare a Lagos nel 2012. Qui lavora come assistente editor presso l’editore indipendente Kachifo e come direttore di produzione nella società di istruzione e intrattenimento di suo padre, Ajapaworld. Pubblica racconti in diverse antologie e autoproduzioni. Nel 2016 è finalista al Commonwealth Short Story Prize.
Poi, finalmente, la fama. Con Mia sorella è una serial killer vince nel 2019 il Los Angeles Times Award per il miglior crime thriller e ottiene la segnalazione del quotidiano britannico «Guardian» tra i migliori romanzi d’esordio del 2019.
Per Braithwaite rimane forte l’attaccamento alle origini. Tra turbanti e vesti lunghe e colorate della festa, nel romanzo fanno capolino tracce di oggetti di infanzia e l’odore dei piatti visti preparare in cucina, come il pane di manioca. Tra le sue pagine si respira anche tutto l’orgoglio di Black Lives Matter che non solo non si vergogna delle proprie radici ma, anzi, le fa rivivere senza retorica. Tuttavia non c’è la volontà di sintetizzare un Paese complesso come la Nigeria o addirittura un interno continente in un romanzo o in una famiglia. È Lagos ma potrebbe essere tranquillamente Southgate, il sobborgo di Londra dove Oyinkan è cresciuta.
Come spesso accade per le autrici dell’ultima generazione, la chiave di lettura è al femminile. Sono le donne le protagoniste. E, anche quando fanno qualcosa di sbagliato, restano degne di attenzione. Gli uomini sono relegati sullo sfondo, opachi, sbiaditi, a maggior ragione se sono violenti, come il padre di Korede e Ayoola. E sono i rapporti di potere a conquistarsi il centro della scena. Ma a determinarli non è la voglia di rivalsa o la necessità di farsi strada in una società violenta e discriminatoria. Ayoola dice di accoltellare gli uomini per autodifesa, senza che nessuno — nemmeno Korede — paia crederci per un istante. Alle autrici come Oyinkan, il MeToo non pare proprio servire. Si va serenamente oltre, trasformando le donne in assassine, senza bisogno di assoluzioni o di giustificazioni. Esattamente come si racconta un’Africa lontana dalla visione eurocentrica di cui Braithwaite aiuta finalmente il lettore a liberarsi. Anche a colpi di coltello e black humor, se necessario.