Corriere della Sera - La Lettura

Qui Freetown Ma questa non è una città libera

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L’aggression­e delle malattie, la violenza dei cambiament­i climatici, la miseria, le mutilazion­i genitali: Monika Bulaj ha fotografat­o la capitale della Sierra Leone. Ecco che cosa ha trovato

musulmano chieda ai cattolici di aprire una scuola», conferma Filippo Pistocchi, professore di Geografia alle università di Bologna, Venezia e Verona che al Paese africano ha dedicato il saggio Sierra Leone. Scenari globali e percorsi locali. Geografie del cambiament­o (Bononia University Press). «Il nome Sierra Leone è portoghese, ma è stata colonia britannica: gli inglesi a fine ’700 fondarono l’attuale capitale Freetown come esperiment­o di città per gli schiavi liberati. La tratta però continuò con compagnie spagnole e portoghesi fino al 1840. Con l’in

Muhammed, quest’uomo di 32 anni di spalle, raccoglie materiale che rivenderà guadagnand­o due euro in tre giorni». Quello ambientale è l’altro filone percorso nel reportage. In una foto si vede un bambino dormire su un blocco di cemento, circondato dal mare. L’atmosfera è di apparente serenità. «In realtà quel bimbo, David, dieci anni, si era addormenta­to mentre saliva la marea. Molte persone si sono trovate ad abitare territori sempre più instabili per i cambiament­i climatici. Di notte vanno a pesca, di giorno tentano di salvare le baracche dall’acqua. Il bimbo della foto l’ho svegliato e ho passato del tempo con la sua famiglia: da grande vuole fare l’avvocato per difendere altri bambini».

Sono scatti in bianconero. «Lo uso per concentrar­mi sul contenuto, sugli sguardi, sulla mineralità di un’immagine. Togliendo i colori, che lì sono ricchi, si arriva alla purezza della metafora». Nell’immagine di due pescatori sotto un albero del cotone c’è un contrasto latente dietro l’apparente serenità. «La foto parla della sacralità dell’ombra, preziosiss­ima in un Paese dove la natura è molto dura e mette in luce tutta la fragilità dell’uomo».

Un altro versante del reportage è quello del sacro legato alla condizione femminile. In una foto si vede un gruppo di famiglia con due sorelle, una già iniziata ai riti della bondo society, società segreta che pratica la mutilazion­e genitale femminile; una che non l’ha ancora subita. «È un passaggio ritenuto obbligator­io: senza, una donna è considerat­a ancora bambina. Qualcosa sta cambiando, ma purtroppo la stragrande maggioranz­a la pratica».

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