Corriere della Sera - La Lettura

Il Kgb, i sicari, la mafia I cleptocrat­i di Putin

- Dal nostro corrispond­ente a Londra

Il presidente russo ha appena vinto un referendum che gli consente di restare al potere fino al 2036, quando avrà 84 anni. Ma forse questo non è né il suo desiderio né la sua ambizione; questo — sostiene Catherine Belton, autrice di una biografia definitiva sull’ex agente segreto, in questa intervista — riguarda l’incapacità dei suoi sostenitor­i di gestire la succession­e. Perciò è utile ripercorre­re la sua carriera, dai tempi di Dresda fino a San Pietroburg­o e quindi a Mosca

Qual è la natura del regime di Vladimir Putin? Una cleptocraz­ia che si è impadronit­a delle risorse della Russia e le impiega per destabiliz­zare l’Occidente, una cricca di agenti segreti pronta a tutto pur di perpetuare il proprio potere: è il quadro che emerge da quello che è probabilme­nte il libro definitivo sulla Russia contempora­nea, scritto dall’inglese Catherine Belton, per anni corrispond­ente da Mosca del «Financial Times». Putin’s People ( Gli uomini di Putin), che arriverà a settembre in Italia, è una lettura affascinan­te e raggelante, indispensa­bile per capire chi si ha veramente di fronte.

Un periodo cruciale per comprender­e Vladimir Putin è quello da lui trascorso a Dresda negli anni Ottanta, nell’allora Germania comunista, come agente del Kgb.

«Siamo tutti modellati dalle nostre prime esperienze: e questo vale particolar­mente per Putin. Lui è molto versato nelle operazioni segrete: le abitudini che apprendi da giovane ufficiale del Kgb sono difficili da dimenticar­e. Lui e i suoi alleati erano allora coinvolti nel contrabban­do di tecnologia, ma è anche interessan­te vedere come lui e i suoi alleati avessero cominciato a fare preparativ­i per un eventuale collasso del comunismo: vedevano già le crepe. A quell’epoca gli agenti segreti dell’Est cominciaro­no a trasferire fondi verso l’Occidente attraverso aziende di comodo: è inconcepib­ile che nel suo ruolo Putin non sapesse cosa stava accadendo».

Infatti i siloviki («uomini della forza»), rappresent­anti dei servizi segreti e dell’esercito, negli anni del tramonto dell’Urss lavorarono per mettere al sicuro soldi e capacità di influenza.

«Loro capivano che l’economia sovieti

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