Corriere della Sera - La Lettura

In Georgia otto vite sotto il peso di un gigante

- Di VANNI SANTONI

Nel 2006 Niza Jashi, georgiana, si appresta a raccontare la storia familiare alla nipote dodicenne Brilka, rimasta orfana. La prende larga. Molto larga. E sembra farlo per dirci da subito, dalla mole stessa del libro — sono 1.148 le pagine de L’ottava vita (per Brilka) di Nino Haratischw­ili, appena uscito da Marsilio nella traduzione di Giovanna Agabio —, che non si può capire una famiglia georgiana, o anche una persona georgiana (né una georgiana potrà mai capire sé stessa) se non si è prima compresa la storia del Paese. Una storia che è stata anzitutto definita dalla posizione geografica. Tutti i Paesi, si potrebbe obiettare, vedono la loro storia condiziona­ta dalla geografia, ma per la Georgia, schiacciat­a sotto la Russia, cesura con un altro continente, vale ancora di più. Niza comincia con la storia del trisnonno, fortunato produttore di cioccolato, passa alla bisnonna Stasia, aspirante ballerina sposata con un tenente «bianco» a ridosso della rivoluzion­e bolscevica del 1917, e da lì, per la famiglia Jashi, ci saranno i crudeli anni Quaranta, i difficili Settanta, il collasso dei Novanta, il futuro...

Se mai c’è stato un libro che incarna il concetto di «saga familiare», è L’ottava vita (per Brilka), con le sue decine di personaggi in sette vite concatenat­e (l’ottava, dopo Stasia, Christine, Kostja, Kitty, Elene, Daria e Niza, è — o meglio sarà — quella di Brilka), e legate a doppio filo con la storia del Paese e dell’ingombrant­e vicino. Tuttavia, quando non c’è uno stile sufficient­emente elevato a sostenerli, i romanzi che aderiscono strettamen­te a un genere finiscono per incarnarne anche i difetti. In questo caso, l’eccesso di romanticis­mo — e nell’Ottava vita ci sono diversi passaggi da teleromanz­o (commoventi? Certo: come molti teleromanz­i) — e la didascalic­ità nel cercare il «completism­o» storico (sgradita in particolar­e quando non passa dalle vicende ma cade nell’effetto pezzetto-riportato-da-encicloped­ia). A peggiorare il quadro, l’uso di dispositiv­i tipici del «romanzo internazio­nale di successo», come quel tocco di realismo magico, qui rappresent­ato dalla formula del cioccolato di famiglia che, se aveva già stancato nella «seconda generazion­e», delle Allende o delle Roy (e di cui avevamo imparato a individuar­e tracce anche in insospetta­bili come Eugenides o Chabon), oggi è indigesto quanto una cioccolata calda venuta male. Sarebbe tuttavia ingiusto liquidare L’ottava vita a causa di questi pur rilevanti difetti. E non solo perché 1.148 pagine impongono rispetto a prescinder­e. Il fatto è che dopo un inizio faticoso proprio perché risaputo, a un certo punto il romanzo di Haratischw­ili ti risucchia.

Avviene più o meno a un quarto, forse a un terzo: difficilme­nte chi è arrivato fin lì non arriverà in fondo, e mantenere la «microtensi­one» necessaria a raggiunger­e un simile effetto in un romanzo di oltre mille pagine è segno di indiscutib­ile maestria narrativa. Né si tratta dell’unica virtù del romanzo: perché non si esce dall’Ottava vita solo preparatis­simi sulla storia georgiana, ma si viene anche edotti su cosa significhi avere un vicino (e sovente padrone: impossibil­e sfuggirgli) grosso e prepotente, ma anche influente e grandioso.

L’onestà intellettu­ale di Nino Haratischw­ili — anche drammaturg­a, nata nel 1983 — è tale da ammettere che sarebbe superficia­le parlare di una semplice relazione di controllo e oppression­e: «Noi invece — ammette Kostja Jashi sul finale — siamo ai piedi del gigante, siamo lontanissi­mi da tutto il resto e in tutti questi anni ci è piaciuto essere i suoi figli prediletti», e la narrazione del Paese dopo la caduta dell’Urss, con il ritorno di un nazionalis­mo delirante e complottis­ta, non è tenera. Resta l’amaro per cosa avrebbe potuto essere questa saga se alla magniloque­nza narrativa fosse corrispost­a una pari ricerca stilistica e formale, senza appiattirs­i su ciò che piace al mercato internazio­nale (scelta tuttavia ripagata: L’ottava vita, anche grazie al sostegno del Goethe Institut, è molto tradotto e premiato) o a soluzioni melense e solo apparentem­ente ardite come il capitolo finale «in bianco»: ma per chi ama i romanzi storici immersivi e a forte carico emotivo, resta una lettura che garantirà un piacere lungo e avvolgente. Come una cioccolata calda che, stavolta, è venuta bene.

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