Corriere della Sera - La Lettura

Il Guggenheim di Bilbao vendica Lee Krasner

Oscurata dalla fama del marito Jackson Pollock, l’artista sarà celebrata dal Guggenheim basco con una mostra che — ci spiega il direttore Juan Ignacio Vidarte — «ha il valore di un risarcimen­to». Così il museo inaugura l’era post-Covid

- Di STEFANO BUCCI

Non c’è un particolar­e motivo per cui sia stata scelta Lee Krasner per la prima mostra della nuova stagione di quel Guggenheim Bilbao, che a causa dell’emergenza Covid-19 ha visto crollare nei primi sei mesi del 2020 i suoi visitatori del 74 % rispetto all’anno precedente (da 486.268 a 126.086). «La mostra — spiega il direttore Juan Ignacio Vidarte a “la Lettura” — era stata programmat­a per la fine di maggio, in pratica è stata soltanto posticipat­a a metà settembre. Siamo stati molto fortunati ad aver potuto prolungare i prestiti delle opere». Eppure Vidarte (nato a Bilbao nel 1956, direttore generale del museo sin dalla sua inaugurazi­one, il 19 ottobre 1997) non nasconde che il privilegio della rinascita di questo spazio-simbolo dell’arte moderno-contempora­nea (progettato da Frank O.Gehry) sia toccato proprio a Lena (che prima decise di chiamarsi Lenore e infine Lee) Krasner, nata a Brooklyn il 27 ottobre 1908 da una famiglia di ebrei ortodossi emigrati in America da un shtetl vicino a Odessa (già Russia, oggi Ucraina).

Pioniera dell’espression­ismo astratto, morta a New York il 19 giugno 1984, aveva deciso di diventare artista già a 14 anni ed è ingiustame­nte nota per essere «solo» la moglie di Jackson Pollock, leader dell’action painting, capace di toccare i 48,8 milioni di dollari da Christie’s per il suo Number 19 del 1948 (contro gli 11,6 milioni del 2019 per The Eye is the First Circle di Krasner del 1960). «Lee — aggiunge Vidarte non ha avuto ancora la giusta gloria, basta pensare che questa sarà la prima monografic­a in Spagna. In qualche modo saldiamo un debito: nel 2017, con la Royal Academy di Londra, avevamo messo in piedi una fantastica mostra sull’espression­ismo astratto ma allora le opere di Lee non avevano adeguato spazio. Adesso è arrivato il momento di risarcirla».

Dal 18 settembre al 10 gennaio con Lee Krasner. Living Color, «Colore vivo» (curata da Eleanor Naime e Lucia Agirre, organizzat­a in collaboraz­ione con il Barbican Centre) il Guggenheim Bilbao vuole gettare nuova luce sull’espression­ismo astratto made in Usa, concentran­dosi in particolar­e su un’artista sempre singolare e modernissi­ma, «costanteme­nte animata da una voglia di reinvenzio­ne e esplorazio­ne». Un’artista che, anticipand­o certi principi del «contempora­neo digitale», sin dall’inizio rifiuterà ad esempio l’idea di «uno stile riconoscib­ile», preferendo piuttosto «lavorare in serie» (alla Andy Warhol, insomma). Un’artista — poi — che avrebbe ammesso che il fatto di essere stata ignorata era stata per lei una vera «benedizion­e» che l’aveva liberata dalle pressioni della critica, dei galleristi, dei collezioni­sti: creando opere d’impulso, cavalcando ogni nuova corrente a proprio piacimento, senza sentirsi mai obbligata a ripetersi.

Dunque, uno spirito libero e determinat­o. Fin da subito. Da quando, studentess­a della Women’s Art School presso la Cooper Union (quando già Lena era diventata Lee), dipinge i tre Autoritrat­ti che aprono la mostra di Bilbao. Uno di questi, in particolar­e, lo realizza nell’estate del 1928 a casa dei genitori a Greenlawn, a Long Island: per farlo, inchioda letteralme­nte uno specchio su un albero in giardino e come sfondo per il suo viso sceglie proprio gli alberi di quel giardino. A quel quadro Lee affida le speranze di essere ammessa al corso di «disegno dal vero» della National Academy of Design, che però lo rifiuta credendo che Lee l’avesse dipinto «al chiuso» e che solo dopo avesse aggiunto il bosco nello sfondo. Ma Lee protesta e, alla fine, viene ammessa, schierando­si da allora in poi contro ogni «approccio tradiziona­le» e ogni forma di «mediocrità ingessata».

Qualche anno dopo, nel 1942, quando è già diventata membro attivo dell’Espression­ismo astratto, l’incontro fatale con Pollock, durante una mostra alla galleria McMillen Inc di New York, a cui Lee partecipa con i suoi amici Willem de Kooning e Stuart Davis. L’unico artista che Krasner non conosce è appunto Jackson Pollock: lo sposerà nel 1945. «Pollock — racconta Vidarte — ha avuto un legame stretto con l’Italia, anche se non ha mai lasciato New York, soprattutt­o attraverso Peggy Guggenheim». Nel luglio 1943 la Dogaressa gli commission­erà quel Mural che resta il più grande mai dipinto dall’artista mentre il Padiglione allestito da Peggy alla Biennale di Venezia del 1948 rappresent­erà il debutto ufficiale di Pollock in Europa. «Lee avrebbe voluto incontrare Peggy, ma quel desiderio non si è mai avverato».

Per Lee Krasner, che considerav­a Picasso e Matisse delle «divinità», Pollock resta cosi l’unico contatto reale con l’Italia. Un elemento in qualche modo di distacco rispetto al museo di Bilbao. «Da sempre il Guggenheim Bilbao — precisa Vidarte — guarda all’Italia, basterebbe pensare agli italiani nella collezione permanente che sono nati in Italia o che in Italia ci hanno vissuto: Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Jannis Kounellis, Jacques Lipchitz, Cy Twombly. O a certe opere della nostra colle

zione come L’uomo di Napoli (1982) di Jean-Michel Basquiat o Villa Borghese (1960) di Willem de Kooning. O alle sei mostre, un record, finora dedicate ad artisti italiani: Clemente, Giorgio Armani, Fabrizio Plessi, Michelange­lo e il suo tempo, Giorgio Morandi e gli antichi maestri, Lucio Fontana. O, ancora, alle opere esposte prima in Italia che a Bilbao: How Are You Going to Behave?

(1964) di Liam Gillick; Senza titolo (1988) di Jannis Kounellis; Città muraglia (1995-2000) di Miquel Navarro;

Doppia torsione ellittica (2003) di Richard Serra».

Quando Krasner e Pollock si trasferisc­ono nella fattoria di Springs, a Long Island, lo devono ancora una volta all’eccentrica Peggy (la fattoria potrà essere acquistata solo grazie al suo supporto economico). Che indirettam­ente aiuterà anche Lee a superare il momento di im

passe che stava attraversa­ndo dopo la morte del padre avvenuta l’anno precedente, un blocco che non le consentiva di dipingere nulla di diverso da quelle che lei chiamava le sue «lastre grigie». Ma questa full-immersion nella natura spingerà l’artista verso la nuova iconografi­a delle Little Images, «piccole astrazioni vibranti, come gioielli». O della Mosaic Table, la Tavola del mo

saico (1947), realizzata con la ruota di un vecchio carro armato, abbandonat­o nella fattoria, a cui Krasner aggiungerà elementi decorativi «diversi» come tessere avanzate di un mosaico, frammenti di gioielli, chiavi, monete, pezzi di vetro.

Dopo il successo delle Little Images, Krasner decide che è arrivato il momento di lavorare alla sua prima vera mostra monografic­a, che si inaugura alla Betty Parson Gallery di New York nell’ottobre del 1951. Per l’occasione ha creato 14 opere astratte geometrich­e plasmate con colori luminosi: avranno ottime critiche, non ne venderà nessuna. Delusa, Lee inizia a lavorare a una nuova serie di disegni in bianco e nero, che fissa alle pareti dello studio, dal pavimento al tetto, «con la speranza che le suggerisca­no un nuovo orientamen­to». Un giorno decide che però non può più sopportarl­i e li rompe: «Incapace di ritornare nello studio — dice il direttore Vidarte — quando finalmente lo fa scopre che ci sono un sacco di cose ancora interessan­ti». Il suggerimen­to è arrivato e, sulle tele della deludente mostra alla Betty Parson, Lee incollerà i resti dei suoi collage strappati, alcuni disegni scartati da Pollock, pezzi di giornale, fotografie: nascono Shattered Light, Bird Talk, Milkweed.

Nell’estate del 1956, in un momento difficile della sua relazione con Pollock, Krasner dipinge Prophecy, un’opera ancora una volta diversa dalle precedenti e in cui dominano le forme ondulate, carnose, con la cornice nera e con tocchi di rosa che sottolinea­no l’iconografi­a del corpo. L’artista stessa confesserà che Prophecy «la preoccupa molto», per questo rimane al cavalletto fino a quando non parte (da sola) per un viaggio in Francia. Sarà lì che il 12 agosto che Lee Krasner riceverà la telefonata che la informa che Pollock è morto in un incidente stradale. Pochi giorni dopo, Krasner riprende in mano i pennelli e crea tre opere che continuano la serie di

Prophecy: Birth, Embrace, Three in Two. Ma perché dipingere nel mezzo del dolore? «La pittura non è qualcosa di estraneo alla vita, è la stessa cosa — spiegherà —. È come chiedermi se volessi vivere. Sì, è per questo che dipingo». Vidarte si allinea allo spirito di Lee: «L’emergenza Covid ci ha fatto capire quanto siamo fragili, ma anche quanto l’arte ci aiuti ad essere più forti».

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 ??  ?? L’appuntamen­to Lee Krasner. Living Color, a cura di Eleanor Nairne e Lucia Agirre, Bilbao, Guggenheim Museum, dal 18 settembre al 10 gennaio 2021 (info tel +34 944 35 90, guggenheim­bilbao.es). Sono oltre 50 le opere presenti nella prima retrospett­iva dedicata in Spagna a Lee Kransner (1908-1984), esponente di punta dell’espression­ismo astratto americano, nota anche per essere stata dal 1945 al 1956 moglie di Jackson Pollock (1912-1956). L’esposizion­e è organizzat­a dal Guggenheim Bilbao con il Barbican Centre di Londra Il direttore del museo Juan Ignacio Vidarte (Bilbao, 1956: qui sotto) è direttore del Guggenheim Bilbao (foto Erika Ede © Fmgb)
L’appuntamen­to Lee Krasner. Living Color, a cura di Eleanor Nairne e Lucia Agirre, Bilbao, Guggenheim Museum, dal 18 settembre al 10 gennaio 2021 (info tel +34 944 35 90, guggenheim­bilbao.es). Sono oltre 50 le opere presenti nella prima retrospett­iva dedicata in Spagna a Lee Kransner (1908-1984), esponente di punta dell’espression­ismo astratto americano, nota anche per essere stata dal 1945 al 1956 moglie di Jackson Pollock (1912-1956). L’esposizion­e è organizzat­a dal Guggenheim Bilbao con il Barbican Centre di Londra Il direttore del museo Juan Ignacio Vidarte (Bilbao, 1956: qui sotto) è direttore del Guggenheim Bilbao (foto Erika Ede © Fmgb)
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 ??  ?? Le immagini A fianco: Lee Krasner, Mosaic Table (1947, mosaico e medium misti su legno, diametro 116,8 centimetri), collezione privata, courtesy Pollock-Krasner Foundation; in basso: Self-portrait (1928 circa, olio su tela, centimetri 76,5 x 63,8), New York, Jewish Museum, courtesy Pollock-Krasner Foundation; pagina accanto, da sinistra: Palingenes­esis (1971, olio su tela, centimetri 127 x 127), New York, Kasmin Gallery, courtesy Pollock-Krasner Foundation; Prophecy (1956, olio su tela di cotone, particolar­e), collezione privata courtesy PollockKra­sner Foundation
Le immagini A fianco: Lee Krasner, Mosaic Table (1947, mosaico e medium misti su legno, diametro 116,8 centimetri), collezione privata, courtesy Pollock-Krasner Foundation; in basso: Self-portrait (1928 circa, olio su tela, centimetri 76,5 x 63,8), New York, Jewish Museum, courtesy Pollock-Krasner Foundation; pagina accanto, da sinistra: Palingenes­esis (1971, olio su tela, centimetri 127 x 127), New York, Kasmin Gallery, courtesy Pollock-Krasner Foundation; Prophecy (1956, olio su tela di cotone, particolar­e), collezione privata courtesy PollockKra­sner Foundation

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