Corriere della Sera - La Lettura
Dare giudizi etici sul passato è giusto e utile
L’inglese Donald Bloxham nega che l’analisi degli eventi possa essere scissa da una valutazione anche morale. «Giusto rimuovere le statue dei colonizzatori: facciamo i conti con la nostra eredità imperialista»
Esperto di storia dei genocidi e dei crimini di guerra, Donald Bloxham, docente dell’Università di Edimburgo, ha pubblicato in luglio il saggio History
and Morality (Oxford University Press), nel quale sostiene che gli studiosi hanno il pieno diritto di esprimere giudizi di valore sugli eventi del passato: «la Lettura» lo ha intervistato per approfondire le sue tesi.
Professor Bloxham, il suo libro inizia con alcune domande sulla Prima guerra mondiale. Lei suggerisce che quando gli storici parlano di «cause» e «origini» parlano anche, inevitabilmente, di «responsabilità» e «colpa». Ecco, perché pensa che quasi tutti gli storici, anche se lo negano, diano giudizi di valore nella loro ricostruzione del passato?
«Il dibattito sulla Prima guerra mondiale è un esempio di uno dei modi in cui gli storici si trovano coinvolti in discussioni che implicano una valutazione morale, che lo vogliano o meno. Nelle scienze umane, al contrario di quanto avviene in una scienza naturale come la chimica, le spiegazioni causali includono spesso le scelte degli uomini. L’agire umano comporta una certa responsabilità per le sue conseguenze. Colpa è il nome che diamo alla responsabilità per un atto
che viene visto negativamente. La Prima guerra mondiale è generalmente vista negativamente, e quindi gli attori storici considerati i maggiori responsabili del suo scoppio sono considerati da biasimare. In altre ricostruzioni, critiche o elogi possono essere espressi anche solo con la scelta di avverbi e aggettivi. Gli storici usano abitualmente parole come “brutale”, “generoso”, “ingannevole” o “coraggioso”, che trasmettono un giudizio di valore ai lettori proprio nel momento in cui si tratta di spiegare la motivazione o il carattere di un comportamento storico. Molte parole allo stesso tempo descrivono e valutano, nell’esperienza umana».
Chi ricostruisce i fatti non può dunque essere mai neutrale?
«Gli storici, e questo è molto importante, creano un’impressione generale con il loro lavoro. Il modo in cui descrivono gli eventi, su quale aspetto degli eventi o situazioni si concentrano, quali prospettive storiche includono, come contestualizzano: tutti questi elementi si combinano per produrre un’impressione generale, anche se lo storico è determinato a essere neutrale. Gli storici devono riconoscere che forniscono suggerimenti che influenzano le possibili reazioni al loro lavoro, comprese quelle di carattere valutativo. Devono assumersi la responsabilità di questo e riflettere su quali suggerimenti desiderano fornire, ricordando anche che non è possibile non fornirne alcuno».
Quasi tutti gli storici concordano con Marc Bloch sul fatto che il loro compito è comprendere, non giudicare. Lei mostra quanto sia difficile, specialmente per i grandi e tragici eventi del XX secolo, tenere la morale fuori dalla comprensione di ciò che è accaduto.
«È vero che non sono d’accordo con Bloch su questo punto, anche se lo rispetto enormemente come storico e come persona. Non sono, tuttavia, solo gli eventi spaventosi del XX secolo che rappresentano un problema per gli storici convinti che il loro lavoro debba essere neutrale. Questi eventi evidenziano semplicemente, in modo molto enfatico, l’impossibilità della neutralità sui valori quando si discute di eventi che riguardano questioni di sofferenza umana e ingiustizia, come il compimento di atti o la perpetuazione di assetti sociali che causano situazioni orribili e inique».
Ma non tutti i giudizi di valore sono uguali. Nella disputa tra Christopher Browning e Daniel Goldhagen sulla responsabilità dei tedeschi per la Shoah, mi sembra che lei sia più vicino al primo (come me). È così?
«Il dibattito tra Browning e Goldhagen ha riguardato innanzitutto le motivazioni dei responsabili tedeschi dell’Olocausto. Browning ha sottolineato i fattori situazionali immediati come la pressione dei membri di uno stesso gruppo, mentre Goldhagen ha sottolineato fattori culturali più profondi, legati al passato della Germania. Il modo in cui comprendiamo le motivazioni degli attori influenza la qualità del giudizio che diamo su di essi, ma nessuno degli storici ha ignorato il fattore morale. La differenza è stata piuttosto di tono: Browning scriveva in modo pacato, mentre Goldhagen aveva un tono più accusatorio. Penso che il lavoro di Browning sia esemplare nel cercare di comprendere, rivelando al contempo la posta morale in gioco. Mostra quanto è errato il proverbio tout compren
dre, c’est tout perdonner. Contrariamente a quanto suggerito da alcuni storici, mostra che concentrarsi sugli autori del genocidio non significa necessariamente adottare la loro prospettiva».
Lei sostiene che «l’opposizione tra comprensione e giudizio è falsa». Nella vicenda del genocidio armeno, che lei conosce molto bene, i primi storici armeni hanno spesso descritto tutti i turchi come animati da odio verso il loro popolo: è una cattiva comprensione storica o un giudizio morale da evitare?
«Da un punto di vista generale sostengo che l’opposizione tra comprensione e giudizio è falsa, perché qualsiasi giudizio informato deve essere basato sulla comprensione. È ovviamente possibile avere un giudizio basato su nessuna comprensione, ma ciò non significa che una corretta comprensione debba separarsi dal giu