Corriere della Sera - La Lettura
Di continuo la gente dice di essere fiera oppure no del suo Paese. Lo storico non può fingersi neutrale
sul riconoscimento della loro capacità di provare dolore, gioia e senso di giustizia e ingiustizia, sebbene molti criteri per definire ciò che è giusto possano variare. La questione chiave è come formiamo i giudizi in relazione a tali pratiche, ed è qui che entra in gioco la mia valutazione del relativismo. C’è un relativismo morale per cui è sbagliato giudicare le pratiche di altri gruppi. Questa è una posizione che si confuta da sola; propone uno standard morale generale per cui è sbagliato giudicare ciò che avviene nei confini di un gruppo, ma al tempo stesso nega l’esistenza di standard generali, sostenendo che gli unici criteri di giusto e sbagliato provengono dai diversi gruppi con i rispettivi valori. La più diffusa varietà di relativismo morale afferma che non c’è modo di stabilire oggettivamente la superiorità di un sistema morale sugli altri. Qualunque siano i punti di forza di questa posizione in linea di principio, è in pratica irrilevante. Non è di per sé un’affermazione su ciò che è giusto o sbagliato. Non è un argomento contro la possibilità di giudicare ciò che avviene in altri Paesi: serve solo a negare che tali giudizi abbiano basi convincenti per coloro le cui pratiche e valori vengono giudicati, il che è comunque irrilevante quando ci si riferisce al passato».
Ma allora quale atteggiamento deve assumere lo storico di fronte a situazioni del passato che hanno forti implicazioni morali?
«Vediamo di affrontare il processo di formazione dei