Corriere della Sera - La Lettura
IL QUESITO CHE C’È E QUELLO CHE MANCA
Si può parlare in breve dell’aldilà? Rabelais vi è riuscito in due parole quando lo definì il «grande forse». Il punto di domanda è dunque l’esito ultimo? Dipende.
L’anziano biblista gesuita Gerhard Lohfink ha pubblicato un’opera dal titolo interrogativo, a cui segue però un sottotitolo affermativo: Alla fine il nulla? Sulla resurrezione e la vita eterna ( traduzione di Valentino Maraldi, Queriniana, pp. 288, € 34). La presenza di un sonoro no resta implicita. La tesi di fondo è legata a un aut aut: o il nulla o la resurrezione e la vita eterna, tertium non datur. In realtà il terzo è dato nella mente di molti. La prima parte del libro infatti s’impegna a dichiarare l’insufficienza di risposte antiche riproposte oggi in chiave nuova: disperdersi nella natura, sopravvivere nei discendenti, affidarsi alla trasmigrazione delle anime. Tutti palliativi non convincenti.
Il nulla dunque? No, perché c’è il messaggio biblico. Tuttavia per la maggior parte della Bibbia, cioè per quasi tutto l’Antico Testamento, non c’è alcuna resurrezione: quanto importa è solo la salvezza, in primis collettiva, nella vita terrena. Israele non è l’Egitto, che fu ossessionato dall’aldilà. La visione cristiana della resurrezione dei morti non nega lo sfondo ebraico. Per Lohfink l’impegno per trasformare la storia secondo il messaggio di Gesù è una caparra per entrare nella vita che non avrà fine. Nel testo manca però una domanda: perché mai la fede nella resurrezione dei morti è molto più salda tra i musulmani che tra i cristiani?