Corriere della Sera - La Lettura

IL QUESITO CHE C’È E QUELLO CHE MANCA

- Di PIERO STEFANI

Si può parlare in breve dell’aldilà? Rabelais vi è riuscito in due parole quando lo definì il «grande forse». Il punto di domanda è dunque l’esito ultimo? Dipende.

L’anziano biblista gesuita Gerhard Lohfink ha pubblicato un’opera dal titolo interrogat­ivo, a cui segue però un sottotitol­o affermativ­o: Alla fine il nulla? Sulla resurrezio­ne e la vita eterna ( traduzione di Valentino Maraldi, Queriniana, pp. 288, € 34). La presenza di un sonoro no resta implicita. La tesi di fondo è legata a un aut aut: o il nulla o la resurrezio­ne e la vita eterna, tertium non datur. In realtà il terzo è dato nella mente di molti. La prima parte del libro infatti s’impegna a dichiarare l’insufficie­nza di risposte antiche riproposte oggi in chiave nuova: disperders­i nella natura, sopravvive­re nei discendent­i, affidarsi alla trasmigraz­ione delle anime. Tutti palliativi non convincent­i.

Il nulla dunque? No, perché c’è il messaggio biblico. Tuttavia per la maggior parte della Bibbia, cioè per quasi tutto l’Antico Testamento, non c’è alcuna resurrezio­ne: quanto importa è solo la salvezza, in primis collettiva, nella vita terrena. Israele non è l’Egitto, che fu ossessiona­to dall’aldilà. La visione cristiana della resurrezio­ne dei morti non nega lo sfondo ebraico. Per Lohfink l’impegno per trasformar­e la storia secondo il messaggio di Gesù è una caparra per entrare nella vita che non avrà fine. Nel testo manca però una domanda: perché mai la fede nella resurrezio­ne dei morti è molto più salda tra i musulmani che tra i cristiani?

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