Corriere della Sera - La Lettura

Giovanni Gentile fu erede di Hegel E Gramsci lo seguì su quella via

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Sono passati più di trent’anni (era il 1989) dall’uscita del libro di Salvatore Natoli Gentile filosofo europeo (Bollati Boringhier­i) e, per quanto il filosofo dell’«idealismo attuale» sia stato rivalutato, nei suoi riguardi il pregiudizi­o resta più forte del giudizio. La storiograf­ia filosofica ha da un lato estromesso il pensiero di Gentile dalla cultura italiana e dall’altro gli ha mosso l’accusa di provincial­ismo. Tuttavia l’opera del filosofo, che legò il proprio nome al regime di Mussolini, ha attraversa­to come un fiume carsico tutto il Novecento, tanto che alla fine del secolo Augusto Del Noce disse che la caduta di interesse per Gramsci era dovuta al fatto che ci si era resi conto che il pensatore sardo riteneva di aver raggiunto la vera filosofia della prassi di Marx partendo da Croce e, invece, altro non aveva fatto che raggiunger­e «la filosofia della prassi di Gentile, intendendo­la in senso rivoluzion­ario». Evidenteme­nte, o il pensiero di Gentile non è provincial­e o la sua provincia è molto più vasta di quanto

non s’immagini. Ecco perché risulta istruttiva la lettura del libro di Guglielmo Gallino: Giovanni Gentile. L’apologia del

pensiero (Le Lettere, 2018). Un testo che mette in rilievo la grandezza del pensiero di Gentile — compreso il dramma della indistinzi­one tra pensiero e azione, tipico di ogni filosofia della prassi — in un confronto con Hegel e Aristotele, Kant e Husserl, i Greci e i moderni e, ovviamente, Benedetto Croce. Nell’opera di Gentile si esprime il valore centrale della filosofia moderna: il pensiero. Diceva Hegel nella Fenomenolo­gia: «Nel pensare Io sono libero». Gentile ha realizzato o, meglio, attualizza­to il programma di Hegel. Errori compresi.

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