Corriere della Sera - La Lettura
Messico e nuvole, anzi molto di più
Alessandro Raveggi in «Grande karma» insegue l’inquieto scrittore Carlo Coccioli
Parlare di Grande karma di Alessandro Raveggi significa fare un esercizio di definizione complicato, che in un certo senso coinvolge anche il fulcro del romanzo. Che ha come nucleo narrativo le «vite» e le opere di Carlo Coccioli, scrittore di culto, purtroppo dimenticato, della nostra letteratura. Coccioli è uno scrittore difficile da incasellare, complessa e piena di silenzi e confessioni la sua opera, diseguale e abnorme la sua produzione, che pone non pochi problemi ai critici che vogliono accostarvisi. Raveggi sceglie una via diversa e nuova, in cui si mischiano piani tematici e narrativi: la ricostruzione della vita di Coccioli e il progressivo sprofondare del protagonista Enrico in una sorta di sogno allucinatorio che nasce dalla suo tentativo di comprenderne l’esistenza girovaga.
In Grande karma possiamo notare le più disparate forme stilistiche: pagine saggistiche sull’opera dello scrittore livornese (1920-2003), ricostruzioni di episodi della sua vita vagabonda tra il Messico e Parigi, fino alle parti più strettamente da romanzo, in cui vediamo Enrico, Lola, Dina e tutti gli altri personaggi muoversi come posseduti da un demone, quello dell’erranza, che fa sì che il destino di ognuno si configuri come un’assenza. Anche dal punto di vista squisitamente stilistico il romanzo è un mescolamento di diversi modi di narrare: ci sono lettere, diari, visioni, pezzi che paiono tratti da una biografia, citazioni dalle opere coccioliane e dalle sue lettere. Questo fa di Grande karma una sorta di brogliaccio enorme, un brogliaccio assolutamente coerente, costruito con misura e rimandi interni fortissimi, che rendono la lettura del testo coinvolgente. Il testo, sul piano simbolico, vuole produrre quello stato di confusione e di eccitazione che spesso i lettori di Coccioli colgono nelle sue pagine. C’è qui il mondo dello scrittore sempre in fuga, che tanto piaceva a Pier Vittorio Tondelli: c’è Dio, c’è l’Io, di cui Coccioli si diceva ammalato, ci sono cani, gli amori omosessuali, l’ebraismo, l’alcoolismo, il buddhismo, c’è il Messico come luogo della sospensione e dell’eterna fuga da fermi, o Parigi, il miraggio della felicità raggiunta, attimo d’equilibrio prima che tutto si perda.
Raveggi ci guida dentro questo enorme calderone con una scrittura misurata e una grande capacità mimetica: riesce in certi momenti a farci sentire la prosa, l’accento, il modo di porgere la frase di Coccioli, ma poi nello stesso tempo se ne distanzia, mette un’ironica interferenza che lo pone lui come autore a una giusta distanza dal suo oggetto di studio (questo non riesce a Enrico, il personaggio del romanzo).
Grande karma è anche una riflessione su che cosa sia per uno scrittore l’ossessione artistica, che cosa sia disposto a sacrificare per la propria scrittura; ci rammenta, insomma, come la sempre profonda e insanabile dicotomia tra la scrittura e la vita, sulla necessità della prima e sulla profonda irrimediabilità dell’ultima.