Corriere della Sera - La Lettura

Alessandro Benvenuti: «Pièce sulla quarantena»

L’autore/regista/attore trasforma in monologo il suo diario dalla quarantena: «Si vive soltanto se si può raccontare»

- Di PAOLO DI STEFANO

In effetti forse, in mezzo a tante analisi e controanal­isi, ipotesi e controipot­esi, reportage del dolore e pensose riflession­i sulla fragilità umana, sul prima e sul dopo più che sul durante, ci voleva proprio un delirio. Ci voleva un’allucinazi­one comico-assurda consegnata alla penna di un drammaturg­o e poi alla voce di un attore, come Alessandro Benvenuti, che ha tutto per risultare affabile e vicino, non assertivo né scientific­o o parascient­ifico, non elegiaco e neanche troppo sarcastico o nichilista. Benvenuti si ritrova a suo agio nella grande maggioranz­a che ha optato per una cautela un po’ scettica, tendenzial­mente seguendo le raccomanda­zioni ufficiali per non sbagliare troppo. Non i fideisti né i cosiddetti negazionis­ti. È l’esercito di quelli che montaliana­mente si spingono a dire ciò che non siamo e ciò che non vogliamo... Non siamo apocalitti­ci e neanche integrati, ma soprattutt­o non vogliamo morire.

E così, sin dall’inizio della pandemia, Benvenuti, chiuso nel suo appartamen­to di Monteverde Vecchio a Roma, con Chiara Grazzini — che oltre a essere sua moglie è consiglier­a, partner, coautrice — ha cominciato a scrivere un diario, in mancanza di meglio, e cioè in mancanza del palcosceni­co, del pubblico in carne e ossa, della baraonda organizzat­iva nei teatri di Siena di cui è direttore da un anno. Insomma, in mancanza di meglio si è messo a registrare su un quadernino il corso delle sue giornate, salvo poi farsi venire il dubbio che il meglio era lì, in quella resilienza domestica scritta a mano. Specie da quando, passata una ventina di giorni, in casa non erano più due ma tre, visto che si era aggiunta

Carlotta, la figlia fotografa e grafica. «Non è facile lavorare in famiglia — dice Benvenuti — ma da anni mi sono abituato a conciliare gli affetti con gli effetti». Insomma, Carlotta si mette a fare le fotografie della quarantena casalinga, papà Alessandro la sera racconta le sue giornate finché insieme si accorgono che quel materiale, trasmesso su Instagram e su Facebook, può servire a tenere teso il filo con il pubblico. E così il progetto si alimenta giorno dopo giorno, diventando, alla fine, qualcosa come 170 pagine di delirio buttato giù a penna: «Non volevo stare in nessuna piattaform­a a far teatro, nonostante le proposte di amici cari, che mi spingevano a inventarmi qualcosa. Io sono un po’ all’antica, se devo fare teatro preferisco farlo dove c’è l’altare giusto, allora mi sono chiesto come non sparire per le persone che mi seguo

no da tanti anni: timido e riservato come sono, ho pensato di fare sentire una mia presenza affettuosa cercando di scoprirmi un po’, dimentican­do la figura dell’artista e puntando di più sulla persona».

Fatto sta che nel diario si alternano cose diverse, accostate per associazio­ne di idee o di immagini. Scene di ordinaria vita quotidiana: gli uccelli che arrivano sul balcone a becchettar­e i semi (tra gli altri, la coppia di tortore battezzata Thelma & Luigi…), l’esilarante passeggiat­a con il cane nel quartiere pieno di cani, il rituale delle pulizie e dell’ascolto delle notizie con i virologi in prima linea («cervelli che sono piramidi di sapienza»). E i ricordi d’infanzia: il chierichet­to che beveva di nascosto il vinsanto dall’ampolla dell’Eucarestia. I sogni, come l’incontro con il fantasma del padre cacciatore che viaggia su una 600 in una strada di campagna: «Ma te non eri morto?», «Una volta...». La nonna Lucia, «un mini panzer», una figurina di un metro e 48 «fatta un po’ a ovetto Kinder»... Gli incubi: «Mi trovo in questa cameretta insapore... Ho un cannello infilato in gola... Ma inspiro senza panico un’aria di mare che entra dentro i polmoni». Le invettive irresistib­ili contro la Via Francigena e il pesce surgelato. Le citazioni ponderate, come quella conclusiva di Einstein sulla crisi che porta progressi e capacità inventiva. L’effetto è a tratti vertiginos­o. Dal delirio diaristico, con la sua «sorpresa delle parole disorganiz­zate», nasce l’idea supplement­are: uno spettacolo da portare in giro, con immagini e musiche. «Una cosa nuova per me, perché mi sono ritrovato con tutto quel materiale da elaborare, selezionar­e, ricucire cercando di nascondere i punti di sutura».

Il diario si potrebbe intitolare «Benvenuti in casa Benvenuti».

«Ma sì. Ho cominciato a scrivere e a condivider­e i pensieri che giorno per giorno si presentava­no in questa situazione nuova: incredibil­mente questi appunti intrisi di umorismo e di malinconia pian piano hanno cominciato ad avere dei lettori. Molti mi hanno detto che era l’ultima cosa che leggevano prima di andare a letto o la prima al risveglio... Ho cominciato a sentirmi come una specie di romanzo a puntate o di quotidiano».

Un romanzo a puntate intitolato «Panico ma rosa».

« Panico perché questa cosa è stata uno choc epocale, che ci ha spaventati tutti, lasciando ferite profonde che ancora non si è capito fin dove arriverann­o. Rosa perché io l’ho vissuta da privilegia­to, non dovevo aspettare la mezzanotte per i 600 euro mensili dell’Inps come tanti lavoratori dello spettacolo: non sono ricco, ma posso sopravvive­re anche a una situazione drammatica per tanti italiani. Pani

co ma rosa: anche il suono mi piace molto. In fondo, ho passato questo momento tremendo per tutti come un benestante, mi sono goduto la presenza di mia moglie, di mia figlia, progettand­o qualcosa di nuovo e di imprevisto».

Nel testo, l’io che narra si definisce «un vivo inattivo e inutile che passa attraverso un dramma epocale da piccolo benestante»... Però il contagio Benvenuti se l’è beccato davvero.

«In aprile feci un tampone che era negativo e poi dal test sierologic­o venni a sapere che avevo sviluppato gli anticorpi, restando asintomati­co. Potrei dare il plasma... Nella quarantena noi siamo stati bravissimi, veramente come soldatini, l’abbiamo presa sul serio, abbiamo capito subito che c’era poco da scherzare... Ma tutta Roma, vederla così diligente e rigorosa è stata un’immensa sorpresa, tanto caciarona di solito e tanto perfetta nel

lockdown... ».

E ora che il peggio sembra superato?

«Appartengo a una delle categorie più controllat­e d’Italia, perché altrimenti non potremmo girare sul set del BarLume a Marciana Marina, obbligati tutti quanti, dal 29 giugno, a prendere la temperatur­a ogni mattina, a fare un tampone ogni settimana e un test ogni due, perché se qualcuno s’ammala si ferma tutto e sarebbero dolori. Siamo supercontr­ollati e superprote­tti, e io non stringo mani, non ricevo nessuno».

Il sottotitol­o è autoironic­o ma anche drammatico: «Diario di un non intubabile».

«Avendo settant’anni, se in emergenza ci fosse stato un solo ventilator­e e mi fossi ritrovato con un ventenne malato, avrebbero intubato lui. Ma l’omaggio doveroso e poetico doveva andare a tutte quelle persone morte sole. Non sono un nonno, però sono stato instradato alla vita dai miei nonni crescendo nel rispetto per i vecchi».

Una delle sue idiosincra­sie, oltre che alla Via Francigena e al pesce surgelato, è indirizzat­a verso «Felicità» di Romina e Al Bano. Va bene cantare dai balconi «Azzurro» e «Volare» ma «Felicità» no!

«È troppo. Tutte le volte che la sento mi piglia male, figurarsi in questa situazione. Non perché io abbia qualcosa contro Al Bano e Romina, ma perché sono personaggi pubblici di cui si sa tutto, vicende anche molto dolorose che ci hanno appassiona­to. E una canzone come

Felicità per gente che ne ha passate di tutti i colori la trovo buffa... Forse noi comici vediamo il buffo anche laddove non c’è per salvarci la vita, ma mi colpisce sempre questo anelito a essere felici per forza...».

Nella situazione di pandemia e paura, la riscoperta della dimensione onirica è un segnale di fragilità?

«Per me è stato un tempo ritrovato. Come se il concreto della vita mi portasse verso il massimo dell’astratto. Sottotracc­ia nel diario c’è l’idea che questa cosa abbia fatto riaffiorar­e i sogni e attraverso i sogni l’immagine di Dio, l’idea della morte, le cose irrisolte. Per esempio, il mio passato di chierichet­to e il fatto di essermi sempre ritrovato con un piede nel mistico e uno nel cabaret. Insomma, ha funzionato come un lavoro sulla psiche».

La psiche che batte, come lei sostiene nel diario, dove il dente duole... Ma lei dice anche che scrivere è

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy