Corriere della Sera - La Lettura

Lingua locale e non toscano Ma in fondo è solo poesia

Un panorama dove ogni autore fa per sé

- di ROBERTO GALAVERNI

Non esistono regole o ricette predefinit­e che consentano di leggere e comprender­e la poesia. Esattament­e come accade quando la si scrive. Tuttavia, se si pensa alla poesia in dialetto, che tanta parte ha avuto nella tradizione letteraria italiana e ancora continua ad averla, si può dire che una lettura puramente sociologic­a, per altro così diffusa, risulta sempre riduttiva.

Spiegando ogni cosa in termini di rivalità con la lingua nazionale, dell’opposizion­e tra vita e letteratur­a o di una maggiore vicinanza della parola alla cosa (per altro tutta da dimostrare), in realtà si spiega ben poco. Soprattutt­o, si finisce per non considerar­e il fatto, davvero fondamenta­le, che un poeta che scrive in dialetto si trova comunque di fronte a una lingua, non importa poi molto se già in possesso di una sua consistent­e tradizione di poesia (il milanese, il veneziano, il romanesco, il napoletano, ad esempio) oppure se priva di qualsiasi precedente scritto. Di per sé un dialetto non garantisce nulla; di conseguenz­a sta sempre a chi scrive di conquistar­lo all’intensità espressiva che riconoscia­mo alla poesia. È necessario un poeta, insomma, per fare di un dialetto una lingua poetica.

A partire dal secondo dopoguerra i padri fondatori o comunque i maggiori esponenti della cosiddetta poesia neodialett­ale — ad esempio Tonino Guerra (Santarcang­elo di Romagna, Rimini, 1920-Santarcang­elo di Romagna, 2012), Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922-Roma, 1975, ma impiegava il friulano di

Casarsa), Albino Pierro (Tursi, Matera, 1916Roma, 1955), Raffaello Baldini (Santarcang­elo di Romagna, 1924-Milano, 2005), Franco Scataglini (Ancona, 1930-Numana, Ancona, 1994) o Amedeo Giacomini (Varmo, Udine, 1939 - San Daniele del Friuli, Udine, 2006) — hanno fatto poesia con motivazion­i e in modi infinitame­nte diversi. L’unico elemento comune, importante sì, ma come detto non risolutivo, è stata la loro scelta di scrivere in una lingua diversa da quella nazionale o, detto altrimenti, di scrivere in un dialetto diverso dal dialetto tosco-fiorentino che nel corso dei secoli si è imposto come lingua nazionale. E lo stesso deve dirsi dei tanti poeti italiani che nell’intrecciar­si delle generazion­i scrivono oggi in dialetto: ognuno è soltanto sé stesso e dunque fa storia a sé, proprio come deve essere.

Così, se è possibile individuar­e aree geografich­e in cui la poesia in dialetto appare più praticata (il Veneto, il Friuli, la Romagna, la Sicilia, ad esempio), e una volta riconosciu­to che esistono parecchi giovani o giovanissi­mi che si rivolgono al dialetto per scrivere poesia (una per tutti, la siciliana Dina Basso, che è nata nel 1988 a Scordia, in provincia di Catania), il fatto probabilme­nte più rilevante è che alcuni tra i poeti più apprezzati e riconosciu­ti del panorama nazionale sono dialettali.

Primo fra tutti Franco Loi (1930), uno dei poeti italiani più totali degli ultimi decenni, che ha fatto del suo milanese uno strumento poetico di eccezional­e capacità ed estensione, dai registri epico-popolaresc­hi a quelli più lirici e interiori. E proprio seguendo la distinzion­e, magari un po’ convenzion­ale, tra poesia lirica e poesia narrativa, si potrà ricordare sul primo versante almeno Emilio Rentocchin­i (1949), che nel dialetto della nativa Sassuolo (Modena) ha piegato l’ottava della tradizione epica padana in una direzione appunto lirica, tutta giocata tra l’intellettu­alismo filosofico della poesia metafisica e l’abbandono a una musicalità che trova in sé le proprie ragioni. Mentre dall’altro andrà menzionato Fabio Franzin (1963), che nel suo trevigiano localizzab­ile tra Oderzo e Motta di Livenza scrive versi d’esplicito impegno civile, con una fede e una caparbietà che hanno pochi riscontri nel panorama nazionale di questi anni.

Sono soltanto pochi richiami, certo insufficie­nti a render conto di una situazione ricca e diversific­ata, che in ogni caso andrà considerat­a non come un corpo separato ma come parte a tutti gli effetti costitutiv­a e integrante della poesia italiana del nostro tempo.

Geografia È possibile individuar­e aree dove la lirica in dialetto è più praticata, spesso anche da giovani e giovanissi­mi: Veneto, Friuli, Romagna, Sicilia

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