Corriere della Sera - La Lettura
Bisogna rincorrere il Leviatano per addomesticarlo
Lo Stato moderno serve a garantire la sicurezza dei cittadini, ma ha un’innata propensione dispotica. Secondo Daron Acemoglu e James Robinson solo una società civile che tenga testa all’apparato coercitivo può assicurare a un Paese libertà e benessere. No
Ho letto il nuovo libro di Daron Acemoglu e James Robinson La strettoia. Come le nazioni possono essere libere, da poco pubblicato in italiano dal Saggiatore. Avevo letto il precedente Perché le nazioni falliscono (il Saggiatore, 2013) e sapevo che cosa avrei trovato. Nonostante la mole del volume (quasi 800 pagine) — anzi proprio per questo — avrei trovato un libro facile e interessante su un tema di straordinaria complessità e importanza: perché alcuni Paesi, nazioni, Stati, comunità prosperano economicamente e garantiscono libertà e benessere a coloro che ne sono membri, mentre altri invece «falliscono». La mole del volume spiega la facilità di lettura: le cause del successo o del fallimento sono infatti illustrate da dozzine di casi storici, esplorati con un dettaglio sufficiente a suscitare l’interesse e la curiosità del lettore, da quelli più noti di moderni Stati europei a quelli di Paesi lontani nel tempo e nello spazio.
Lettura facile e divertente, dunque. Ma forniscono Acemoglu e Robinson indicazioni sufficienti — insomma: «ricette» per raggiungere condizioni desiderabili — di libertà individuale e benessere? La mia impressione è che non solo non ne forniscano, ma che escludano lo stesso proposito di fornirle. Lo schema teorico utilizzato, dovendosi adattare a un’estrema varietà di situazioni storiche, è inevitabilmente sotto-determinato. Più a fondo, gli autori dubitano che, anche se si limitassero a pochi casi strutturalmente molto simili (ad esempio ai Paesi democratici e industrialmente avanzati) la «ricetta» che funziona in un caso funzionerebbe in un altro: la storia è ricca di sorprese e solo a posteriori si capisce perché in un caso ha funzionato e in un altro no.
Nonostante le somiglianze con il recente librone di Thomas Piketty Capitale
e ideologia (La nave di Teseo), lo spirito di questo saggio è profondamente diverso: Piketty vuole arrivare a ricette precise e radicali. Acemoglu e Robinson si fermano molto prima. Vogliono solo convincerci — attraverso un’analisi di casi storici ancor più ampia di quella dell’economista francese e di uno schema teorico più semplice — che il progresso è frutto di una società libera e di uno Stato che ne asseconda la libertà e ne attiva le energie.
Per i due autori le condizioni che conducono a libertà e benessere dei cittadini sono due: uno Stato autorevole ma non dispotico e una società esigente nel reclamare libertà per i propri membri: libertà dall’oppressione dello stesso Stato, ma anche libertà da minacce da parte di altri Stati o presenti nella società stessa: dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, degli uomini sulle donne.
La storia moderna della libertà inizia con la formazione dei grandi Stati nazionali: sono questi il riferimento del Leviatano di Thomas Hobbes, scritto in un momento in cui l’Inghilterra era preda di gravi disordini politici e sociali. Il Leviatano non è certo il modello di uno Stato liberale — è un feroce mostro biblico —, ma potenzialmente era adatto a sventare le due più grandi minacce che gravavano sulle società pre-moderne: la minaccia esterna e quella interna, l’aggressione da parte di altri Stati e l’insicurezza sulla conservazione della propria vita e dei propri beni dovuta all’assenza di un efficace sistema legale e giudiziario. In mancanza di un Leviatano, la vita tende ad essere, per riprendere la più celebre citazione di Hobbes, «solitaria, misera, sgrad e vo l e , b r u t a l e e b r e ve » . I n mo l t e circostanze, però, lo Stato non si limita a tutelare la difesa esterna e l’ordine interno, ma, disponendo del monopolio sui mezzi di coercizione, lo usa per opprimere i cittadini e avvantaggiare i ristretti gruppi che lo controllano: il Leviatano ha una innata tendenza a diventare dispotico. Ma non è possibile controllare la violenza e l’insicurezza senza un Leviatano, senza un forte potere centrale che monopolizzi la violenza legittima? Acemoglu e Robinson dedicano molta attenzione ad un altro modo di reprimere la violenza e garantire condizioni di sufficiente sicurezza interna: la «gabbia di norme».
Questa soluzione era diffusa in società primitive in cui era forte l’avversione per chiunque accumulasse un grande potere politico: ingabbiare la società in una fitta rete di norme e consuetudini che limitassero l’uso della violenza. Ma queste non erano meno oppressive per la libertà individuale di quelle che avrebbe imposto un Leviatano dispotico ed erano meno efficaci di un forte potere centrale nello sventare il pericolo dell’anarchia: questo spiega perché la via che presero gran parte degli Stati più grandi e potenti fu quella del Leviatano. In un piccolo angolo di mondo, l’Europa, si erano però create le condizioni perché le tendenze più dispotiche del Leviatano potessero essere controllate: merito soprattutto della tradizione giuridica romana, tramandata e adattata dalla Chiesa, e delle consuetudini democratiche dei popoli germanici, che avevano abbattuto il più grande impero dell’antichità. Seguendo un’interpretazione diffusa, sono queste le due lame — un potere statale forte, che si avvale di strumenti giuridici universalistici, e una società forte, in cui non si era persa la tradizione germanica di una condivisione del potere — di quella forbice che ha consentito di tagliare e scartare le manifestazioni più dispotiche del Leviatano.
La trasformazione verso la società e gli Stati moderni avviene con le rivoluzioni politiche e la rivoluzione industriale tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che liberano le energie sociali prima represse dall’Ancien Régime: le condizioni erano particolarmente favorevoli in Gran Bretagna, ma gran parte dei Paesi europei fu in grado di seguirne l’esempio e costruire nell’Ottocento i primi Stati liberali. Nella seconda parte del Novecento alla componente liberale si aggiunse
quella democratica, sino alla sintesi liberal-democratica di oggi: una sintesi difficile, precaria, minacciata da conflitti internazionali e interni ai singoli Stati.
Per raffigurare il processo di «incatenamento» del Leviatano — e dunque di progresso o regresso sulla via di una sempre maggiore libertà — Acemoglu e Robinson fanno spesso uso di un grafico in cui sull’asse verticale è indicato il potere dello Stato e su quello orizzontale il potere della società: quando crescono insieme (in una fascia più o meno larga intorno alla bisettrice dell’angolo di partenza del grafico) siamo nel «corridoio stretto» che dà il titolo al libro. La tesi è che il progresso sulla via della libertà e del benessere avviene quando entrambi i poteri si rafforzano, quando la società è mobilitata e obbliga il Leviatano ad assumersi sempre nuovi compiti e poteri per venire meglio incontro al benessere e alla libertà dei cittadini. Mobilitata e vigile: attenta a che lo Stato non approfitti del suo maggior potere per opprimere dispoticamente i cittadini a favore delle élite che inevitabilmente si formano anche in condizioni di democrazia politica.
Questa rincorsa ed equilibrio di velocità tra società e Stato è battezzato da Acemoglu e Robinson come «effetto Regina Rossa», da quel passaggio di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll in cui Alice è costretta a correre per seguire la corsa della Regina Rossa, starle accanto e parlare con lei, proprio come Stato e società devono correre insieme e appaiati. (Nel romanzo entrambe, la Regina e Alice, corrono per restare esattamente nello stesso punto: il nonsense di Lewis Carroll sta in questo. Non è così nel caso del nostro grafico: Stato e società restano appaiati, ma vanno avanti, raggiungendo equilibri sempre maggiori di libertà e benessere). Il narrow corridor, la «via stretta», può avere allargamenti o strettoie per vicende storiche nazionali o internazionali che è molto difficile prevedere. Ma titolare il libro La strettoia invece che «La via stretta» crea confusione: è l’unico appunto che mi sentirei di fare ad una traduzione eccellente.
Restare nel corridoio e assicurare un continuo progresso di libertà e benessere è difficile. È difficile entrare, partendo da condizioni di Leviatano dispotico o Leviatano assente; ed è facile uscire, così ricadendo in condizioni in cui il Leviatano torna ad essere dispotico o diventa troppo debole, e la società sviluppa tendenze anarchiche e conflittuali. La tesi centrale di Acemoglu e Robinson — l’importanza di uno Stato autorevole ed efficiente e di una società composta da individui liberi di scegliere il proprio destino, al fine di assicurare benessere e crescita economica — viene affidata all’analisi storica di dozzine di casi disparati, tratti dalle più remote società agricole e dai più moderni Stati contemporanei: ancor più numerosi se si sommano i casi illustrati nel loro libro precedente. Come prova «scientifica» di un’ipotesi ammassare grandi quantità di casi concordanti non è certo una scelta rigorosa... se solo si potesse fare molto meglio a proposito del grande problema che il libro pone: ma non potrebbero esserci casi che smentiscono l’ipotesi e che gli autori non considerano o di cui travisano il significato?
Per esempio, nel caso della Cina moderna Acemoglu e Robinson non possono non riconoscere il miracolo economico e l’effettivo scatenamento di energie individuali iniziati con le riforme di Deng Xiaoping, ma sono convinti che la crescita non potrà durare a lungo perché le tendenze dispotiche rivelate dalla lunga storia cinese non consentiranno di incatenare stabilmente il Leviatano mediante istituzioni capaci di far marciare la società allo stesso passo: dunque istituzioni politiche liberal-democratiche. Quanto è affidabile questa previsione? Gli autori sono tra i migliori studiosi di teorie dello sviluppo economico e politico, e lo rivelano le acute critiche alle teorie prevalenti, da quelle marxiste a quelle della modernizzazione. La loro visione scettica nei confronti di teorie che sfociano in filosofie della storia o di ricette di crescita dettagliate si avvale — per quanto posso giudicare dai pochi casi in cui sono meno ignorante — delle migliori indagini storiche disponibili in letteratura. E si sono convinti che, in via generale, non si può dire molto di più di quanto dicono loro: la contingenza e l’imprevedibilità (l’ironia, come amava dire l’economista Siro Lombardini) della storia non consentono altro.
Resta un dubbio: ma non potrebbe la storia smentire la loro stessa visione liberal-democratica?