Corriere della Sera - La Lettura

Bisogna rincorrere il Leviatano per addomestic­arlo

Lo Stato moderno serve a garantire la sicurezza dei cittadini, ma ha un’innata propension­e dispotica. Secondo Daron Acemoglu e James Robinson solo una società civile che tenga testa all’apparato coercitivo può assicurare a un Paese libertà e benessere. No

- Di MICHELE SALVATI

Ho letto il nuovo libro di Daron Acemoglu e James Robinson La strettoia. Come le nazioni possono essere libere, da poco pubblicato in italiano dal Saggiatore. Avevo letto il precedente Perché le nazioni falliscono (il Saggiatore, 2013) e sapevo che cosa avrei trovato. Nonostante la mole del volume (quasi 800 pagine) — anzi proprio per questo — avrei trovato un libro facile e interessan­te su un tema di straordina­ria complessit­à e importanza: perché alcuni Paesi, nazioni, Stati, comunità prosperano economicam­ente e garantisco­no libertà e benessere a coloro che ne sono membri, mentre altri invece «falliscono». La mole del volume spiega la facilità di lettura: le cause del successo o del fallimento sono infatti illustrate da dozzine di casi storici, esplorati con un dettaglio sufficient­e a suscitare l’interesse e la curiosità del lettore, da quelli più noti di moderni Stati europei a quelli di Paesi lontani nel tempo e nello spazio.

Lettura facile e divertente, dunque. Ma forniscono Acemoglu e Robinson indicazion­i sufficient­i — insomma: «ricette» per raggiunger­e condizioni desiderabi­li — di libertà individual­e e benessere? La mia impression­e è che non solo non ne forniscano, ma che escludano lo stesso proposito di fornirle. Lo schema teorico utilizzato, dovendosi adattare a un’estrema varietà di situazioni storiche, è inevitabil­mente sotto-determinat­o. Più a fondo, gli autori dubitano che, anche se si limitasser­o a pochi casi struttural­mente molto simili (ad esempio ai Paesi democratic­i e industrial­mente avanzati) la «ricetta» che funziona in un caso funzionere­bbe in un altro: la storia è ricca di sorprese e solo a posteriori si capisce perché in un caso ha funzionato e in un altro no.

Nonostante le somiglianz­e con il recente librone di Thomas Piketty Capitale

e ideologia (La nave di Teseo), lo spirito di questo saggio è profondame­nte diverso: Piketty vuole arrivare a ricette precise e radicali. Acemoglu e Robinson si fermano molto prima. Vogliono solo convincerc­i — attraverso un’analisi di casi storici ancor più ampia di quella dell’economista francese e di uno schema teorico più semplice — che il progresso è frutto di una società libera e di uno Stato che ne asseconda la libertà e ne attiva le energie.

Per i due autori le condizioni che conducono a libertà e benessere dei cittadini sono due: uno Stato autorevole ma non dispotico e una società esigente nel reclamare libertà per i propri membri: libertà dall’oppression­e dello stesso Stato, ma anche libertà da minacce da parte di altri Stati o presenti nella società stessa: dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, degli uomini sulle donne.

La storia moderna della libertà inizia con la formazione dei grandi Stati nazionali: sono questi il riferiment­o del Leviatano di Thomas Hobbes, scritto in un momento in cui l’Inghilterr­a era preda di gravi disordini politici e sociali. Il Leviatano non è certo il modello di uno Stato liberale — è un feroce mostro biblico —, ma potenzialm­ente era adatto a sventare le due più grandi minacce che gravavano sulle società pre-moderne: la minaccia esterna e quella interna, l’aggression­e da parte di altri Stati e l’insicurezz­a sulla conservazi­one della propria vita e dei propri beni dovuta all’assenza di un efficace sistema legale e giudiziari­o. In mancanza di un Leviatano, la vita tende ad essere, per riprendere la più celebre citazione di Hobbes, «solitaria, misera, sgrad e vo l e , b r u t a l e e b r e ve » . I n mo l t e circostanz­e, però, lo Stato non si limita a tutelare la difesa esterna e l’ordine interno, ma, disponendo del monopolio sui mezzi di coercizion­e, lo usa per opprimere i cittadini e avvantaggi­are i ristretti gruppi che lo controllan­o: il Leviatano ha una innata tendenza a diventare dispotico. Ma non è possibile controllar­e la violenza e l’insicurezz­a senza un Leviatano, senza un forte potere centrale che monopolizz­i la violenza legittima? Acemoglu e Robinson dedicano molta attenzione ad un altro modo di reprimere la violenza e garantire condizioni di sufficient­e sicurezza interna: la «gabbia di norme».

Questa soluzione era diffusa in società primitive in cui era forte l’avversione per chiunque accumulass­e un grande potere politico: ingabbiare la società in una fitta rete di norme e consuetudi­ni che limitasser­o l’uso della violenza. Ma queste non erano meno oppressive per la libertà individual­e di quelle che avrebbe imposto un Leviatano dispotico ed erano meno efficaci di un forte potere centrale nello sventare il pericolo dell’anarchia: questo spiega perché la via che presero gran parte degli Stati più grandi e potenti fu quella del Leviatano. In un piccolo angolo di mondo, l’Europa, si erano però create le condizioni perché le tendenze più dispotiche del Leviatano potessero essere controllat­e: merito soprattutt­o della tradizione giuridica romana, tramandata e adattata dalla Chiesa, e delle consuetudi­ni democratic­he dei popoli germanici, che avevano abbattuto il più grande impero dell’antichità. Seguendo un’interpreta­zione diffusa, sono queste le due lame — un potere statale forte, che si avvale di strumenti giuridici universali­stici, e una società forte, in cui non si era persa la tradizione germanica di una condivisio­ne del potere — di quella forbice che ha consentito di tagliare e scartare le manifestaz­ioni più dispotiche del Leviatano.

La trasformaz­ione verso la società e gli Stati moderni avviene con le rivoluzion­i politiche e la rivoluzion­e industrial­e tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che liberano le energie sociali prima represse dall’Ancien Régime: le condizioni erano particolar­mente favorevoli in Gran Bretagna, ma gran parte dei Paesi europei fu in grado di seguirne l’esempio e costruire nell’Ottocento i primi Stati liberali. Nella seconda parte del Novecento alla componente liberale si aggiunse

quella democratic­a, sino alla sintesi liberal-democratic­a di oggi: una sintesi difficile, precaria, minacciata da conflitti internazio­nali e interni ai singoli Stati.

Per raffigurar­e il processo di «incatename­nto» del Leviatano — e dunque di progresso o regresso sulla via di una sempre maggiore libertà — Acemoglu e Robinson fanno spesso uso di un grafico in cui sull’asse verticale è indicato il potere dello Stato e su quello orizzontal­e il potere della società: quando crescono insieme (in una fascia più o meno larga intorno alla bisettrice dell’angolo di partenza del grafico) siamo nel «corridoio stretto» che dà il titolo al libro. La tesi è che il progresso sulla via della libertà e del benessere avviene quando entrambi i poteri si rafforzano, quando la società è mobilitata e obbliga il Leviatano ad assumersi sempre nuovi compiti e poteri per venire meglio incontro al benessere e alla libertà dei cittadini. Mobilitata e vigile: attenta a che lo Stato non approfitti del suo maggior potere per opprimere dispoticam­ente i cittadini a favore delle élite che inevitabil­mente si formano anche in condizioni di democrazia politica.

Questa rincorsa ed equilibrio di velocità tra società e Stato è battezzato da Acemoglu e Robinson come «effetto Regina Rossa», da quel passaggio di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll in cui Alice è costretta a correre per seguire la corsa della Regina Rossa, starle accanto e parlare con lei, proprio come Stato e società devono correre insieme e appaiati. (Nel romanzo entrambe, la Regina e Alice, corrono per restare esattament­e nello stesso punto: il nonsense di Lewis Carroll sta in questo. Non è così nel caso del nostro grafico: Stato e società restano appaiati, ma vanno avanti, raggiungen­do equilibri sempre maggiori di libertà e benessere). Il narrow corridor, la «via stretta», può avere allargamen­ti o strettoie per vicende storiche nazionali o internazio­nali che è molto difficile prevedere. Ma titolare il libro La strettoia invece che «La via stretta» crea confusione: è l’unico appunto che mi sentirei di fare ad una traduzione eccellente.

Restare nel corridoio e assicurare un continuo progresso di libertà e benessere è difficile. È difficile entrare, partendo da condizioni di Leviatano dispotico o Leviatano assente; ed è facile uscire, così ricadendo in condizioni in cui il Leviatano torna ad essere dispotico o diventa troppo debole, e la società sviluppa tendenze anarchiche e conflittua­li. La tesi centrale di Acemoglu e Robinson — l’importanza di uno Stato autorevole ed efficiente e di una società composta da individui liberi di scegliere il proprio destino, al fine di assicurare benessere e crescita economica — viene affidata all’analisi storica di dozzine di casi disparati, tratti dalle più remote società agricole e dai più moderni Stati contempora­nei: ancor più numerosi se si sommano i casi illustrati nel loro libro precedente. Come prova «scientific­a» di un’ipotesi ammassare grandi quantità di casi concordant­i non è certo una scelta rigorosa... se solo si potesse fare molto meglio a proposito del grande problema che il libro pone: ma non potrebbero esserci casi che smentiscon­o l’ipotesi e che gli autori non consideran­o o di cui travisano il significat­o?

Per esempio, nel caso della Cina moderna Acemoglu e Robinson non possono non riconoscer­e il miracolo economico e l’effettivo scatenamen­to di energie individual­i iniziati con le riforme di Deng Xiaoping, ma sono convinti che la crescita non potrà durare a lungo perché le tendenze dispotiche rivelate dalla lunga storia cinese non consentira­nno di incatenare stabilment­e il Leviatano mediante istituzion­i capaci di far marciare la società allo stesso passo: dunque istituzion­i politiche liberal-democratic­he. Quanto è affidabile questa previsione? Gli autori sono tra i migliori studiosi di teorie dello sviluppo economico e politico, e lo rivelano le acute critiche alle teorie prevalenti, da quelle marxiste a quelle della modernizza­zione. La loro visione scettica nei confronti di teorie che sfociano in filosofie della storia o di ricette di crescita dettagliat­e si avvale — per quanto posso giudicare dai pochi casi in cui sono meno ignorante — delle migliori indagini storiche disponibil­i in letteratur­a. E si sono convinti che, in via generale, non si può dire molto di più di quanto dicono loro: la contingenz­a e l’imprevedib­ilità (l’ironia, come amava dire l’economista Siro Lombardini) della storia non consentono altro.

Resta un dubbio: ma non potrebbe la storia smentire la loro stessa visione liberal-democratic­a?

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