Corriere della Sera - La Lettura
Il dilemma dei due Karl
Che cosa conta di più: la sicurezza o la libertà? Non è una domanda tra le tante; è il problema centrale nella vita degli individui, delle società e degli Stati. Alla luce di questo criterio, in cui ora prevale il bisogno di sicurezza e ora avanza l’esigenza della libertà, si possono intendere i comportamenti degli uomini e delle donne, si analizzano i corpi sociali e le epoche storiche e, naturalmente, si comprende l’intervento o l’assenza dello Stato. A conti fatti nell’apparente dilemma tra sicurezza e libertà c’è la nascita dello Stato e della modernità attraverso un patto sociale con cui si riconosce autorità al potere sovrano, ma, appunto, a «patto» che il sovrano — di volta in volta: il monarca, il governo, il legislatore, anche il giudice — non vada oltre il limite del suo legittimo potere, trasformandolo da uso in abuso. Ci vuole «equilibrio». Le nostre vite singole, plurali e comuni non sono alla ricerca oggi, nell’età della pandemia da Covid-19, proprio di equilibrio?
Forse, ci si è stancati della società liquida, come la chiamava Zygmunt Bauman, e sotto l’onda delle paure si desidera solidità, ossia certezze, che poi significa sicurezza. Perché, in fondo, la condizione storica dell’umanità fa male: è sempre così imprevedibile e mai definitiva, mentre sarebbe assai preferibile se con conoscenze superiori si superassero i conflitti e nascesse una società più equa, più giusta, più controllata. Invece è proprio nella capacità di accettare e regolare la competizione che risiede quella che Rainer Zitelmann, in un saggio appena uscito, chiama La forza del capitalismo (traduzione di Guglielmo Piombini, Ibl Libri). Eppure il mito della rivoluzione, che è una sorta di scacco matto alla storia, rispunta ogni volta che la relazione tra sicurezza e libertà si altera e le società faticano a garantire il benessere.
È in questi frangenti che scatta l’eterno sogno degli utopisti che Alan S.
Kahan descrive nel libro La guerra degli intellettuali al capitalismo (traduzione di Federico Morganti, Ibl Libri). Ci sono autori che vedono nel libero mercato l’origine dei mali del mondo e, sulla scorta della loro supposta superiorità morale, aspirano a diventarne i legislatori assoluti. Basta poco. Basta ridurre le libertà e aumentare l’intervento statale in nome della sicurezza e il gioco è fatto.
Peccato che, come diceva bene Karl Popper, sia una trappola per topi. La libertà, infatti, non è un impedimento né per avere sicurezza né per ottenere benessere. La libertà è la precondizione senza la quale non c’è sicurezza. Non la sicurezza totale, che è la tipica contraddizione in termini, ma la sicurezza relativa che è quella a cui gli uomini, che non sono padroni nemmeno di uno dei loro capelli, possono (e devono) aspirare.
La verità è che bisogna capovolgere l’altro Karl, ossia Karl Marx, e la sua undicesima tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo». Invece, i filosofi, ossia gli intellettuali — i professori, gli insegnanti, i dirigenti, gli stessi consiglieri del principe — non devono cambiare il mondo che, basta guardarsi intorno, muta da solo a una velocità impressionante, ma devono interpretarlo per capirlo, giacché tra noi e il contesto in cui viviamo c’è sempre uno squilibrio proprio perché non ne possiamo esserne i regolatori assoluti.