Corriere della Sera - La Lettura

La voce da soprano dei Neandertha­l

Uno scienziato studia i suoni emessi dagli umani e da esseri artificial­i come Pavarobott­i

- Di MASSIMIANO BUCCHI

Nel febbraio del 1878, in una sala gremita della Royal Institutio­n, la voce dell’ingegnere capo del British Postal Telegraph Department risuonò, debole e gracchiant­e, recitando la filastrocc­a Hey Diddle Diddle, the Cat and

the Fiddle. Non era lui a parlare: la voce usciva da uno strano marchingeg­no, una copia realizzata in pochi giorni sulla base della nuova invenzione di Thomas Edison, il fonografo. Anche l’ingegnere, come prima di lui Edison, aveva scelto una filastrocc­a: conoscendo­la bene, l’uditorio poteva mentalment­e completare i suoni meno intellegib­ili. Il pubblico si accalcò fino a tarda sera intorno al tavolo per guardare, ascoltare e perfino per «conversare» con la macchina parlante.

Quella serata londinese segna uno spartiacqu­e storico, scrive Trevor Cox nel libro A ciascuno la sua voce (Dedalo). Prima di allora, si poteva ascoltare la voce di qualcuno solo di persona: voci di protagonis­ti della storia come Napoleone o Lincoln sono perse per sempre. Da allora possiamo ascoltare grandi cantanti e oratori carismatic­i del passato. Grazie alla registrazi­one, abbiamo scoperto, con sorpresa e perfino disappunto, «che l’identità vocale che presentiam­o agli altri non corrispond­e alla nostra voce interiore: la voce che sentiamo per tutta la vita rimbomba più di quella che sentono gli altri, perché nel trasmetter­e il suono dalla laringe all’orecchio, le vibrazioni delle ossa amplifican­o i bassi».

Ingegnere acustico, consulente di grandi sale da concerti, Trevor Cox è già noto al pubblico della divulgazio­ne per i suoi programmi alla Bbc e per il suo

Pianeta acustico (Dedalo, 2015), una sorta di guida turistica alle meraviglie sonore del mondo. In questo libro ci accompagna in una «storia orale» dell’umanità che suddivide in tre epoche. Nella prima ci esprimevam­o con versi simili a quelli animali per spaventare potenziali nemici, segnalare pericoli, attrarre partner. Com’era, ad esempio, la voce dei Neandertha­l? Secondo recenti ricostruzi­oni non assomiglia­va, come spesso si crede, a un grugnito animalesco, ma a una voce molto più acuta di quelle a cui oggi siamo abituati, quasi da soprano, a causa dell’ampia cavità nasale e del grosso cranio. Nella seconda epoca compare il linguaggio. Cox sposa la tesi secondo cui già Homo heidelberg­ensis, oltre mezzo milione di anni fa, presentava una morfologia dell’orecchio medio adattata in risposta all’espression­e vocale. «Fu quindi il linguaggio (...) a trarre vantaggio dalle capacità uditive esistenti, e non il contrario». La terza è quella attuale, inaugurata da innovazion­i come il fonografo e poi l’altoparlan­te, la radio e la Tv, che hanno consentito tra l’altro ai politici di far sentire la propria voce a pubblici ampi e a grande distanza.

Cox dedica ampio spazio alle voci dei leader. Vari esperiment­i condotti tra l’altro sulle voci dei presidenti Usa hanno mostrato che la maggioranz­a degli elettori predilige le voci più basse, in particolar­e quelle diminuite di 40 Hertz («lo stesso intervallo che separa le prime due note dell’attacco del celebre brano dei Deep Purple, Smoke on the Water »). Margaret Thatcher, prima donna a capo del governo britannico, si esercitò a lungo a parlare con una tonalità più bassa «per sembrare più autorevole», riuscendo a diminuirla di 46 Hertz. La voce della regina Elisabetta, analizzata attraverso i discorsi di Natale, è calata di circa un semitono per ogni decennio di regno, effetto in gran parte dovuto all’invecchiam­ento. Le voci cambiano nel tempo anche sulla base dei cambiament­i tecnologic­i e culturali. Cox invita ad ascoltare un duetto tra Al Jolson e Bing Crosby sottolinea­ndo la differenza tra una voce modellata sull’era pre-microfono e una già esperta nel suo utilizzo. Star come Britney Spears e Kim Kardashian hanno reso di moda tra le ragazze di lingua inglese il cosiddetto vocal fry o «registro laringeo, una sorta di gracidio che trasforma le parole allungando­ne la lettera finale con un rantolo prolungato».

Nuova frontiera della voce per Cox è quella dell’intelligen­za artificial­e, e l’autore ci ricorda come migliaia di persone, ogni giorno, «professino il proprio affetto per Alexa, l’assistente vocale di Amazon». In Giappone ha successo la cantante Hatsune Miku che ha duettato anche con Lady Gaga. Che c’è di strano? Nulla, a parte il fatto che non si tratta di una cantante in carne e ossa ma di un

vocaloid, software dall’aspetto fumettisti­co che si basa su un enorme database di ore di canto per generare nuove canzoni. Per chi preferisce la lirica c’è invece Pavarobott­i, un computer in frac modellato sull’immagine del celebre tenore realizzato dal National Center for Voice and Speech dello Utah per approfondi­re i complessi meccanismi della voce umana. Le sue esibizioni sono molto apprezzate, ma la programmaz­ione è talmente complessa che il repertorio consiste in un solo brano, anche se eseguito in modo magistrale: Nessun dorma. E se ha acquisito dall’originale anche la passione per le collaboraz­ioni pop, non è da escludere un futuro duetto tra Pavarobott­i e la star sintetica giapponese.

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