Corriere della Sera - La Lettura
Creature come noi, fratelli nel dolore Umberto Saba apre l’arca agli animali
Chi non ricorda qualche verso della poesia di Umberto Saba A mia moglie? Lina vi è paragonata ad animali domestici e quotidiani, tutt’altro che blasonati, eppure portatori di una loro regale verità: dalla pollastra all’ape. In «tutte/ le femmine di tutti i sereni animali/ che avvicinano a Dio» il poeta del Canzoniere ritrova uno spicchio, un carattere della propria donna. Non è un exploit isolato: sono tante le bestie che popolano i versi (e le prose) dell’autore triestino, fino a costituire un bestiario ricco e variato, con alcuni affondi prodigiosi per universalità e potenza. È il caso della capra dal viso semita, che bela solitaria ( La capra). Ecco: non tanto una galleria di animali troviamo in Saba (dalla gallina al cane, passando per i volatili), ma qualcosa di simile a un’arca dalle molte risonanze, come suggerisce Marzia Minutelli in un libro rigorosamente filologico, difficile e vivo, non immemore dello stile di Contini ( L’arca di Saba. «I sereni animali che avvicinano a
Dio» , Olschki, pp. XXIV-344, € 29). Infatti, come l’autrice argomenta, molte di queste bestie si stagliano sullo sfondo della cultura ebraica di Saba, con tutto il suo portato biblico. Affinando la propria sensibilità, il poeta si fa cantore di un cosmo biocentrico, in cui uomo e animali si spartiscono la scena e possono, infine, dialogare, comprendersi, nel senso soprattutto del comune dolore. Così accade proprio ne La capra, dove, dice Minutelli, «si dispiega lo scandaloso miracolo di una comunicazione extraumana che si fa — immediata e perfetta — comunione». Molte le suggestioni del libro: dal modello di Pascoli a tanta poesia novecentesca affondata nel sentimento creaturale, Luzi in testa.