Corriere della Sera - La Lettura
Fuga su Marte. Ma Marte è la tua testa
Aveva visto bene il guru della psichedelia Timothy Leary quando rimase colpito dall’autore, incontrato molto giovane. Infatti il nuovo «Rusty Brown» è geniale e delicatissimo
Se è vero che non esistono storie abbastanza buone da poter essere scritte in qualunque modo, ribaltando la massima si può desumere che, se scritta nel modo giusto, ogni storia è potenzialmente valida. Così, se ci limitassimo a parlare delle vicende di un bambino di provincia che si rifugia nei fumetti di supereroi, di suo padre, un professore con un passato da aspirante scrittore, del bullo della scuola che diventerà un adulto mediocre, e di una maestra elementare afflitta da una pertinace solitudine, nessuno alzerebbe un sopracciglio. Ingredienti risaputi, esplorati da innumerevoli romanzi e fumetti (e, sì, il libro di cui si parla è un romanzo a fumetti).
Le cose tuttavia cambiano se aggiungiamo che l’autore è Chris Ware, il premiatissimo cartoonist americano già autore della graphic novel Jimmy Corrigan, che ha dato vita a una nuova poetica attraverso la sintesi tra la sperimentazione grafica più radicale e una precisione nel disegno ai limiti della sindrome ossessivo-compulsiva.
Quando esce un nuovo Ware, l’appassionato di fumetti lo compra a busta chiusa: la sola qualità estetica vale il prezzo. Quello che però l’appassionato potrebbe non aspettarsi, è un ulteriore salto di qualità. Con Jimmy Corrigan, acclamato da tanti come capolavoro, Ware si era fatto la fama di autore preferito da chi capisce di fumetti ma non troppo, a causa di un dominio eccessivo della grafica sulla storia. Ogni tavola era strabiliante per disegno e composizione; d’avanguardia ogni scelta dell’apparato sequenziale; coltissimo ogni riferimento ai fumetti del passato. Tuttavia, Jimmy Corrigan era noioso. C’entrava la vicenda — quella di un uomo depresso e infantile alle prese con una quotidianità avvilente — ma la colpa era soprattutto dello squilibrio tra disegno e vicenda, che faceva apparire la seconda pretestuosa e il primo, quindi, lezioso.
Così, se è normale che l’appassionato compri il nuovo Ware ( Rusty Brown, traduzione perfetta di Francesco Pacifico, Coconino Press), è altrettanto normale che vi si accosti con qualche pregiudizio, aspettandosi mirabilie grafiche ma anche un po’ di noia e un rischio di pretenziosità.
Bene, il nostro appassionato verrà smentito. Rusty Brown è il capolavoro che ancora mancava all’autore, grazie a un auspicato ribaltamento: i disegni — o meglio, l’intero sistema-Ware: disegni, composizione, paratesti — sono ora al servizio della vicenda e il risultato lascia ammutoliti.
La prima vicenda che va in scena, quella di Rusty, bimbo incompreso vittima di bullismo, fa pensare a una sorta di reboot di Jimmy Corrigan ma nella seconda Ware opera uno scarto possente. Ci ritroviamo d’un tratto su Marte, alle prese con alcuni coloni destinati a fare una brutta fine. Lo straniamento continua finché non viene svelato che ci trovavamo all’interno dell’unico racconto di fantascienza pubblicato dal padre di Rusty, e che adesso siamo nel bel mezzo della sua vita: quella di un aspirante giornalista la cui goffaggine si scontra con la frequentazione erotica ma — ahilui — mai sentimentale di una collega dai modi spicci. Va da sé che il racconto marziano era una sublimazione delle tensioni vissute dal personaggio, giocata da Ware con altissima grazia psicoanalitica.
Il volume riserva tuttavia un salto ulteriore. Nella storia di Jason Lint, già incontrato come comprimario nelle prime due (ha sputato nei guanti del povero Rusty e seguito senza interesse le lezioni del padre), il virtuosismo di Ware raggiunge l’apice. Non solo ne racconta la vita, dalla nascita alla morte, attenendosi rigorosamente alla regola di un anno per pagina, ma la sua ardita composizione delle tavole arriva a mimare il funzionamento della coscienza umana. Così, se la vita di Lint è p r e ve d i b i l e — u n’ i n f a n z i a i n fe l i c e , un’adolescenza difficile con un misfatto coperto dall’influente padre, il college, un tentativo fallito nella musica, il lavoro nell’azienda di famiglia, il matrimonio, le amanti, la vecchiaia — il modo in cui la racconta Ware la rende una delle esperienze più sorprendenti che si possano fare da lettore. Torna alla mente che il professore di psicologia di Harvard e guru della psichedelia Timothy Leary contattò un giovanissimo Ware dopo aver visto il suo primo fumetto, avendovi riconosciuto qualità inusuali nella rappresentazione del pensiero umano: ci aveva visto lungo.
Volendo proprio trovare un difetto a Rusty Brown, si potrebbe indicare il controclimax rappresentato dall’ultima vicenda.
La storia di solitudine e dirittura morale della maestra Joanna Cole, pur impeccabile nella forma, appare poco incisiva rispetto ai fuochi d’artificio dei pannelli centrali; tuttavia, la scritta INTERVALLO che incontriamo alla fine del libro fornisce una spiegazione: ci saranno altre storie a comporre il grande romanzo-mosaico Rusty Brown (è facile scommettere che almeno una riguarderà l’amico di Rusty, Chalky White, e sua sorella Alison, che hanno molto spazio nelle prime pagine per poi finire sottotraccia) e la «parte di Joanna» sarà quindi al posto corretto, necessario momento di rilassamento formale prima delle ulteriori e finali esplosioni atte a consacrare — stavolta per davvero — quello di Ware come uno dei migliori fumetti mai pubblicati.