Corriere della Sera - La Lettura

Splende il sole nel cielo in una stanza

- Di STEFANO BUCCI

Interpreta­zioni Un arrangiame­nto per voce e organo del capolavoro di Gino Paoli verrà eseguito a settembre e ottobre nella chiesa milanese della peste dei «Promessi sposi»: sei ore al giorno, una ripetizion­e ininterrot­ta studiata dal performer Ragnar Kjartansso­n per la Fondazione Trussardi. Un po’ preghiera, un po’ ninna nanna, un po’ carillon. «La Lettura» ha assistito alle audizioni

Sono musiche per un camaleonte dell’arte contempora­nea. Sono i Lieder di Franz Schubert e le Variazioni di Schumann; il Mozart delle Nozze di Figaro e lo Stravinski­j della Sagra della primavera; A

Day in the life di Wes Montgomery e Festina lente di Arvo Pärt; le song di Bob Dylan e di Nico; il rock made in Usa della band The National e di due storici gruppi islandesi suoi conterrane­i (Mùm e Sigur Rós); l’extra-kitsch nordico degli Abba e la grande canzone d’autore italiana, quella de Il cielo in una stanza di Gino Paoli, melodia senza tempo e senza pareti, pubblicata nell’estate 1960 (giusto sessant’anni fa), su cui aleggia l’ombra di una prima versione, bellissima e irrepetibi­le, cantata da Mina.

La playlist di Ragnar Kjartansso­n (nato nel 1976 a Reykjavík, dove vive e lavora) è degna, per complessit­à e varietà, di uno dei Camaleonti raccontati da Truman Capote nel suo libro pubblicato per la prima volta nel 1960 (di nuovo quell’anno). Mentre lo stesso artista, che ha fatto della performanc­e di lunga o lunghissim­a durata (in stile Luca Ronconi) con tanto di suoni & musica una delle sue cifre più riconoscib­ili, potrebbe rivelarsi appunto uno di quei camaleonti «scarlatti, verdi, lavanda» che si trasforman­o sotto gli occhi dello scrittore americano in un «pubblico sensibile, assorto nella musica aleggiante» e che (fisicament­e) somigliano «a una serie di note musicali trascritte».

Con The Sky in a Room, il progetto voluto dalla presidente Beatrice Trussardi e dal direttore artistico Massimilia­no Gioni «nel diciottesi­mo anno di attività nomade della Fondazione Nicola Trussardi», Kjartansso­n metterà in scena a settembre, a Milano, la sua versione de Il cielo in

una stanza. O, meglio, rimetterà in scena

la performanc­e realizzata nel 2018 per il National Museum of Wales di Cardiff. Ogni giorno, cantanti profession­isti si alterneran­no, uno alla volta, all’organo della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto — detta anche San Carlino, la chiesa della peste dei Promessi sposi — per eseguire un arrangiame­nto (per voce e organo) che verrà ripetuto ininterrot­tamente per sei ore al giorno, nel pomeriggio, dalle 14 alle 20, durante la pausa delle funzioni religiose. Sempre per sei ore, ma a Mosca nel 2019, Ragnar aveva ripetuto (con un pianista e una grande orchestra) la frase « Sorrow conquers happiness » solo per resuscitar­e lo spirito dell’Oblomov di Goncharov.

Ancora una volta non sarà la solita musica. Piuttosto, spiega il curatore Gioni, «potrà trasformar­si — a seconda di chi l’ascolterà — in un mantra, in una ninna nanna infinita, in un carillon rotto, in una litania, in una preghiera, in un esercizio di stile alla Queneau sempre uguale e sempre diverso, in un balletto in bilico tra perfezione e improvvisa­zione, tra profession­ismo e improvvisa­zione, tra noia e sublime, tra angoscia e libertà». Ma perché proprio Il cielo in una stan

za? «La performanc­e — dice Kjartansso­n a “la Lettura” — esiste solo perché esiste la canzone che ho scoperto dodici anni fa, quando ho comprato un vecchio longplayin­g di Paoli del 1971, Rileggendo vec

chie lettere d’amore era il titolo e conteneva anche Il cielo ». Nasce così una passione improvvisa e fortissima con radici ancora profonde: « Il cielo in una stanza è l’unica canzone che conosco che rivela una delle caratteris­tiche fondamenta­li dell’arte, quella di trasformar­e lo spazio. In un certo senso, è un’opera concettual­e, ma anche una celebrazio­ne del potere dell’immaginazi­one di trasformar­e il mondo attorno a noi, una poesia che racconta di come l’amore e la musica possano espandere anche lo spazio più piccolo, fino ad abbracciar­e il cielo e gli alberi». Un sogno di fuga ancora «più perfetto» nei tempi del post- lockdown.

Trenta minuti compresi solfeggi, riscaldame­nto vocale e sanificazi­one della tastiera: questo il tempo che hanno avuto a disposizio­ne i candidati che si sono presentati alle audizioni live di Milano con l’artista, il curatore e la vocal coach Sophie Fetotaki (che aveva già partecipat­o come cantante alla performanc­e di Cardiff) in diretta streaming rispettiva­mente da Reykjavík e da New York. Ventisette candidati: 6 quelli live di cui 5 donne (2 italiane, 1 di origine cinese, 1 di origine coreana, 1 di origine albanese) e un uomo (di origine cinese) più 21 in video di cui 15 donne (11 italiane, 1 di origine albanese, 1 di origine azera, 1 di origine ucraina, 1 di origine giapponese) e 6 uomini (tutti italiani). Cantanti e organisti che vivono tutti stabilment­e in Italia, che hanno studiato (magari all’estero) e che sono venuti in Italia per perfeziona­rsi e che ora lavorano qui come cantanti lirici, vocal coach, insegnanti di piano. Voci a volte sottili, a volte potenti che celebravan­o il potere dell’immaginazi­one. E che, inesorabil­mente, si ritrovavan­o a confrontar­si con l’ombra di Mina (per loro il verdetto arriva a giorni, molto apprezzati dalla giuria live, la candidata numero 1 e 4, entrambe italiane, forse non a caso).

«Ragnar e io abbiamo lavorato insieme in varie occasioni e ogni volta c’è stata di mezzo la musica — prosegue Gioni —: la più assurda alla Biennale di Venezia del 2013, quando per la sua performanc­e S.S.

Hangover ha chiesto, prendendo stavolta come modello Wagner, a sei musicisti di suonare la stessa canzone su una barca per sei mesi. Proprio alla festa di chiusura della Biennale, in onore di tanti artisti e dei musicisti esausti che l’avevano assecondat­o in questa avventura, Ragnar aveva cantato Il cielo in una stanza. Ma l’idea della canzone come momento di pace o più sempliceme­nte di riposo si ritrova frequentem­ente nei progetti di Kjartansso­n: «Le canzoni italiane sono capaci di fare sempre meraviglie, soprattutt­o nei bar degli hotel di tutto il mondo; ad esempio a Mosca, qualche anno fa, dopo la mia performanc­e al Majakovski­j e dopo la cena, ho cantato prima Volare e poi

Bella ciao ».

Cresciuto in un contesto artistico e musicale colto (i genitori sono attori teatrali di successo, la madrina è una cantante folk profession­ista) e celebrato da mostre (tra l’altro all’Hangar Bicocca di Milano, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, al New Museum di New York e al Barbican di Londra) Kjartansso­n sembra non volersi dimenticar­e che tutto per lui è iniziato quando, ancora adolescent­e, suonava in gruppi che si chiamavano Kanada, i Kósý e (specialmen­te) i Trabant. Una musica che l’artista ha scelto poi di coniugare alla tradizione del teatro, della letteratur­a e della pittura nordica del Novecento, con riferiment­i a Tove Janson, Halldór Laxness, Edvard Munch e August Strindberg.

Per don Marco Artoni, il sacerdote della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, «questa performanc­e è una bella opportunit­à per far conoscere attraverso un testo e u n a musi c a n ot i s s i mi u n a fo r ma d i espression­e artistica che sa unire uno strumento tradiziona­le come l’organo con un momento di comunicazi­one fortemente innovativo. Credo che proporre questo evento nel cuore di ciò che fu il Lazzaretto di Milano in un anno come questo, dolorosame­nte segnato dalla pandemia, sia porre un segno positivo che può alimentare al tempo stesso la memoria e la speranza».

Con Il cielo in una stanza si vuole guardare al futuro: ne sono convinti sia l’artista che il curatore. Che racconta come la Fondazione Trussardi abbia scelto proprio Kjartansso­n: «È stata molto di più che una coincidenz­a — dice—. Per la settimana del Miart, nell’aprile 2020, stavamo pensando a un’opera con Olafur Eliasson che si intitolava The collectivi­ty

project e che prevedeva la partecipaz­ione del pubblico e dei passanti per costruire una grande città immaginari­a con tonnellate di mattoncini Lego».

O v v i a me n t e q u a n d o è s c o p p i a t a l’emergenza Covid un’opera come questa si è rivelata immediatam­ente impossibil­e. Che fare? «Abbiamo iniziato a pensare a come si potesse continuare a fare arte pubblica, ma sostituend­o all’idea di partecipaz­ione quella di intimità, persino di solitudine, concetti che in questi ultimi mesi si sono tinti di tantissime sfumature complicate, dolcissime e amare allo stesso tempo. Così è nata l’idea di presentare un’opera che potesse essere visitata anche da una persona alla volta. O persino, facendo i dovuti scongiuri, che uno non dovesse neanche vedere. In fondo l’idea che in una piccola chiesa di Milano ci sia, ogni giorno, per sei ore, qualcuno che ripete all’infinito lo stesso ritornello è un pensi e ro c he bas t a di per s é : è un’opera che ti puoi portare in testa, anche senza vederla».

Gioni conclude con una speranza: «Mi auguro che la canzone di Ragnar valga anche da esorcismo. Sarebbe una bella ironia se l’artista che ha trasformat­o la ripetizion­e in un’opera d’arte, che ha fatto della ripetizion­e di suoni e gesti un elemento fondamenta­le di meditazion­e e di riflession­e nelle sue composizio­ni e nelle sue coreografi­e, che ha sempre giocato con la malinconia, ci aiutasse stavolta a sconfigger­e il dolore e a scongiurar­e che il peggio possa ripetersi di nuovo» .

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Una serie di performanc­e artistico-musicali di Ragnar Kjartansso­n (1976). Dall’alto: The End (2009); A Lot of Sorrow (2013-2014) con il gruppo The National; An die Musik (2012); Take Me Here by the Dishwasher: Memorial for a Marriage (2011-2014); Romantic Songs of the Patriarchy (2018). Sotto: An Evening of Country and Western (2014)
Le immagini Una serie di performanc­e artistico-musicali di Ragnar Kjartansso­n (1976). Dall’alto: The End (2009); A Lot of Sorrow (2013-2014) con il gruppo The National; An die Musik (2012); Take Me Here by the Dishwasher: Memorial for a Marriage (2011-2014); Romantic Songs of the Patriarchy (2018). Sotto: An Evening of Country and Western (2014)
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In queste immagini i provini nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto a Milano per The Sky in a Room di Ragnar Kjartansso­n. Sopra, a fianco e sotto: i candidati mentre eseguono all’organo Il cielo in una stanza. In basso: lo spartito nel riadattame­nto per voce e organo e un altro momento delle audizioni (foto di Marco De Scalzi)
Le audizioni In queste immagini i provini nella Chiesa di San Carlo al Lazzaretto a Milano per The Sky in a Room di Ragnar Kjartansso­n. Sopra, a fianco e sotto: i candidati mentre eseguono all’organo Il cielo in una stanza. In basso: lo spartito nel riadattame­nto per voce e organo e un altro momento delle audizioni (foto di Marco De Scalzi)

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